L’immagine di Nestor Combin, sfigurato dalle botte ricevute durante la finale intercontinentale Estudiantes-Milan, fece subito il giro del mondo. Da tre anni in Argentina i militari avevano preso con Juan Carlos Ongania il potere e non volevano farsi vedere come quelli brutti, cattivi e perdenti. Servivano dei colpevoli, ne troveranno tre che finiranno per un mese in carcere. La partita, giocata alla Bombonera il 22 ottobre di cinquant’anni fa, è stata un massacro iniziato a Milano due settimane prima e conclusosi appunto in una prigione di Buenos Aires. A San Siro il Milan aveva vinto 3-0 (doppietta di Sormani e gol di Combin), ma la partita per i rossoneri era stata semplice solo a livello tecnico.
“Stavamo attendendo gli avversari sul tunnel, prima di entrare in campo. Battendo i tacchetti sul pavimento, si posizionarono parallelamente alla nostra fila ordinata. Il loro capitano lanciò un segnale ai compagni, che ci urlarono in faccia un loro grido di battaglia. L’impressione è che fossero pompati”, racconta oggi l’autore dei due gol rossoneri. Poi in campo successe qualcosa con Combin. “Ti aspettiamo in Argentina, disertore”, lo minacciarono. Nestor è nato in un paesello in provincia di Santa Fe. Con la sua famiglia si trasferì presto in Francia, dove diventò professionista, esordendo pure con la nazionale. Da cinque anni era in Italia, Nereo Rocco l’aveva avuto al Toro e se l’era portato al Milan. Qualche anno fa Raul Madero, giocatore di quell’Estudiantes e poi medico ufficiale della Seleccion di Bilardo e Maradona, diede al Grafico una versione inedita: “Tutto partì da una provocazione di Combin che disse ad Aguirre Suarez: ‘In un mese guadagno quello che prendete voi in due anni’. Allora el Negro gli rispose: ‘In Argentina ti rompo la testa’”.
A Buenos Aires Suarez mantenne la promessa. Quell’Estudiantes era una squadra di provocatori. L’aveva costruita Osvaldo Zubeldia, un allenatore arrivato cinque anni prima a La Plata, senza un grande curriculum e con la squadra che arrancava nella parte bassa della classifica. Puntò sui giovani del vivaio, tra i quali spiccava la classe di Veron padre, aggiungendo al gruppo il centrocampista Bilardo e l’attaccante Conigliaro. Senza pensare troppo al bel gioco, vinsero un campionato argentino, un’intercontinentale e due Libertadores (arriveranno a tre). I tifosi biancorossi impazzirono di gioia, meno il resto dell’Argentina. Non era mai successo che squadre non della capitale avessero vinto così tanto e il tipo di calcio giocato non venne mai pienamente apprezzato.
“Siamo andati a Buenos Aires preparati dagli avvertimenti del signor Rocco e del presidente Carraro – dice Sormani. L’Intercontinentale era il trofeo che ci mancava e per noi c’era in ballo anche un grosso premio partita. Per tutta la gara ricevemmo sputi, gomitate e pedate. Siamo stati bravi a non rispondere. Alla Bombonera visto quello che era successo all’andata siamo entrati per primi, loro ci hanno seguito con un pallone a testa, già una cosa insolita, e ce li hanno calciati tutti addosso. Se il risultato si fosse messo male per noi, non so come sarebbe finita. Sicuramente qualche cazzotto l’avrei tirato anch’io”.
Il Milan segnò alla mezz’ora con Rivera, chiudendo una partita (quasi) chiusa in partenza. Poi segnarono per l’Estudiantes Conigliaro e Suarez. Due calciatori argentini Eduardo Manera e lo stesso Suarez vennero espulsi, quest’ultimo per aver colpito brutalmente Combin. Quando l’arbitro Massaro fischiò la fine, l’incubò continuò. Nestor si trovava in stato pietoso: una maschera di sangue che aveva perso i sensi. Venne comunque portato in questura perché considerato un disertore, non avendo fatto il servizio militare in Argentina. Era già capitato che Angelillo avesse saltato delle tournée sudamericane e il libero Miguel Longo non fosse partito con il suo Cagliari per lo stesso motivo. Il Milan però si era informato al consolato dove aveva avuto tutte le rassicurazioni possibili. Combin aveva svolto il servizio civile in Francia e non avrebbe corso alcun rischio. “Sbagliarono i nostri dirigenti – dice Giovanni Lodetti, in campo in entrambe le sfide – perché non aveva alcun senso rischiare, visto il risultato dell’andata”.
Fu una notte lunga e terribile. Alla fine rilasciarono il povero Combin e partirono verso Milano tutti insieme. Lodetti allora guardò fuori dal finestrino dell’aereo e fece un liberatorio gesto dell’ombrello. Intanto in Italia si era sparsa la voce che in volo Pierino Prati, un altro uscito malconcio dall’incontro, fosse morto. L’abbraccio con la moglie che lo aspettava disperata agli Arrivi di Malpensa fu commovente. Per il Milan piano piano si sistemò tutto, Rocco cominciava già a pensare al prossimo match di campionato: “Farò giocare tutti i sopravvissuti”, sdrammatizzò come al solito.
In Argentina invece le cose si misero male per tre calciatori dell’Estudiantes. I due espulsi e il portiere Poletti, che si era particolarmente distinto in quanto a violenza durante la partita, furono arrestati. Il nove dell’Estudiantes Marcos Conigliaro, autore di un gol anche nell’Intercontinentale vinta l’anno prima con il Manchester United, ricorda: “La partita venne televista anche in Europa. I militari volevano dare un esempio e ne arrestarono tre dei nostri, tra cui il mio grande amico Poletti. L’anno seguente giocammo la finale con il Feyenoord e i militari entrarono nel nostro spogliatoio prima della gara, avvisandoci che se ci fosse stato qualche incidente, saremmo finiti tutti in carcere”.
I tifosi dell’Estudiantes stazionarono per giorni davanti alla prigione dove erano rinchiusi i tre calciatori. Bilardo andava a trovarli appena poteva. Un giorno mentre varcava il cancello disse una frase che è rimasta nel gergo del futbol argentino anche a 50 anni di distanza: “La gloria o Devoto”. Devoto infatti era il nome del carcere di Buenos Aires. Nel 1968 il generale Ongania li aveva ricevuti alla Casa Rosada per festeggiare la vittoria sul Manchester United, un anno dopo tre dei suoi compagni erano finiti dietro alle sbarre. “In questo paese hai la gloria se vinci e Devoto se perdi”. I calciatori del Milan allora non si godettero appieno la vittoria per come era avvenuta. Fu soltanto un sospiro di sollievo per essere usciti da un incubo. Tra pochi giorni si ritroveranno quasi tutti in un ristorante milanese per festeggiare l’anniversario. “Ho convinto tutti – conclude Lodetti – anche quel testone di Schnellinger… Rivera? No, evidentemente non ci ritiene alla sua altezza”.