Il nuovo presidente di Tim è Salvatore Rossi, economista ed ex direttore generale di Banca d’Italia. La nomina è stata approvata all’unanimità dal consiglio di amministrazione che ha accolto la proposta del “comitato nomine”. L’indicazione dovrà essere confermata da parte dell’assemblea dei soci: la prima potrebbe essere a primavera, quando verrà esaminato il bilancio.

Oltre 40 anni in Bankitalia, fisso (e mai scelto) nel totonomi dei governi
Barese, 70 anni, Rossi ha lavorato dal 1976 fino al maggio scorso in Banca d’Italia. Dopo aver ricoperto il ruolo di responsabile del servizio studi della banca centrale, dal 2007 al 2011 è direttore centrale per la ricerca economica e le relazioni internazionali. Per un anno è segretario generale, poi nel 2012 è vice-direttore generale e nel 2013 diventa direttore generale oltre che presidente dell’Ivass, l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni, incarichi che ricopre fino a 5 mesi fa. Collaboratore del Corriere della Sera e della Luiss, l’economista fu inserito nel “gruppo dei saggi” che il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano formò nel 2013 dopo che le Politiche finirono con il primo grande pareggio tra le forze politiche (che poi dette vita al primo governo politico di coalizione post-elettorale dall’inizio della Seconda Repubblica). Il nome di Rossi è finito spesso, da indipendente e tecnico, nel totonomi di governi in fase di formazione negli ultimi 2-3 anni. L’ultima volta per il governo Conte 2, ad agosto, come ministro dell’Economia. Come noto, poi, la figura scelta è stata più politica, quella dell’eurodeputato del Pd Roberto Gualtieri.

Figura di garanzia, dopo le liti tra Elliott e Vivendi
Rossi entra nel cda come consigliere indipendente e rappresenta una figura di garanzia per tutti i soci. Il primo compito, il più delicato e complicato, sarà quello di ristabilire un clima costruttivo all’interno della società che, con la gestione dell’amministratore delegato Luigi Gubitosi, si sta lentamente lasciando alle spalle la stagione delle liti tra Elliott e Vivendi.

Il fondo americano e la media company francese hanno infatti l’obiettivo comune di rilanciare il titolo, che sta dando delusioni ad entrambi, seguendo una rotta che dovrebbe portare alla fusione tra la rete fissa di Tim e Open Fiber, così da assecondare la volontà del governo, che ha messo in campo la Cassa depositi e prestiti, di creare una rete unica per l’Italia. “Per noi il tema della rete unica è fondamentale, perché dobbiamo portare il Paese nel futuro. Abbiamo tantissime zone in cui non abbiamo una connessione adeguata e non possiamo permettercelo”, ha ricordato venerdì il vice ministro dello Sviluppo Stefano Buffagni.

“Un board unito è decisivo” per le prospettive della società, hanno commentato gli analisti di Mediobanca secondo cui “gli sforzi congiunti tra pubblico e privato per posare la fibra potrebbero accelerare il processo e far risparmiare soldi”. Secondo Piazzetta Cuccia l’acquisizione del 50% di Oper Fiber potrebbe essere finanziata con l’emissione di nuove azioni ad un prezzo di sottoscrizione “equo”, superiore a quello di Borsa, mentre un fondo di private equity potrebbe rilevare il 50% dell’Enel. “Governance e valutazione rappresentano argomenti chiave da discutere e sono cruciali per chiudere un’operazione che potrebbe sprigionare significativo valore”.

Prima di arrivare alla rete unica occorrerà procedere alla conversione delle azioni di risparmio in ordinarie. Una mossa che intende semplificare la struttura di capitale, liberando 170 milioni di euro di dividendi destinati alle risparmio a favore di tutti i soci, ma che scongiurerebbe il rischio di un’opa a carico Cdp, qualora conferendo la sua quota di Open Fiber dovesse trovarsi a superare il 25% del capitale. “Prima si farà, meglio è” aveva detto Gubitosi in occasione della presentazione dei conti del primo semestre. E chissà che del tema non si torni a parlare in occasione dei conti, in agenda il 7 novembre.

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