Il Vaticano non rischia il crac e tanto meno il default. Monsignor Nunzio Galantino, ex segretario della Conferenza episcopale italiana e ora presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica, ribatte punto su punto alle affermazioni contenute nel nuovo libro di Gianluigi Nuzzi, Giudizio universale. In un’intervista ad Avvenire, realizzata dal vaticanista del quotidiano della Cei Mimmo Muolo, autore di un libro inchiesta intitolato I soldi della Chiesa, Galantino contesta quanto scritto da Nuzzi sul rischio di un crac finanziario se entro il 2023 i conti della Santa Sede non saranno risanati: “Qui non c’è alcun crac o default. C’è solo l’esigenza di una spending review. Ed è quanto stiamo facendo. Glielo posso dimostrare con i numeri. Il tono scandalistico che leggo nelle prime anticipazioni va bene per il lancio di un libro, molto meno per descrivere una realtà articolata e complessa come la Chiesa. Laddove articolata e complessa non è assolutamente sinonimo di segreta o subdola”.

Galantino ribatte anche alla descrizione fatta da Nuzzi di un Vaticano avverso a Bergoglio. “Contrapporre il Papa alla Curia – spiega il presule – è un cliché giornalistico usurato. Stiamo tutti continuando a lavorare per equilibrare entrate e uscite e dunque cerchiamo di fare proprio e soltanto quello che il Papa vuole. Altre letture sanno molto di Codice da Vinci, cioè di un approccio assolutamente romanzato alla realtà”. Alla rappresentazione dell’Apsa come un ente con i conti in rosso, frutto di una gestione clientelare e senza regole, con contabilità fantasma e illeciti, il presule ribatte: “Rispondo che non è vero”.

“La situazione attuale della amministrazione della Santa Sede – afferma Galantino – non ha niente di differente rispetto a quanto capita in una qualsiasi famiglia o anche negli Stati dei diversi continenti. A un certo punto si guarda a quello che si spende, si vede quello che entra e si cerca di riequilibrare le spese. Con un termine oggi molto in voga si chiama spending review. E dunque l’attuale bilancio dell’amministrazione della Santa Sede – in rosso o in verde che sia – non è frutto di ruberie, furbizie e gestione malaccorta. È la presa d’atto che molte cose sono cambiate. Teniamo presente che il Vaticano non ha un regime fiscale frutto di imposizione di tasse o imposte, non ha un debito pubblico. Il suo pil, se così vogliamo chiamarlo, si basa unicamente su quello che riesce a ricavare dal patrimonio che ha (compresi i Musei Vaticani) e dalle offerte dei fedeli e delle diocesi di tutto il mondo. Gli strumenti di controllo messi in atto da Benedetto XVI e potenziati da Papa Francesco stanno permettendo di mettere ordine nella gestione di questo patrimonio per equilibrare le uscite e le entrate e dove è necessario operare correzioni di prassi nel rispetto delle competenze degli organi amministrativi della Santa Sede”.

Galantino precisa, inoltre, che “il risultato negativo del bilancio non è, come è stato scritto, la conseguenza di ‘una gestione clientelare e senza regole, di contabilità fantasma e del testardo sabotaggio dell’azione del Papa’. In realtà la gestione ordinaria dell’Apsa nel 2018 ha chiuso con un utile di oltre 22 milioni di euro. Il dato negativo contabile è esclusivamente dovuto a un intervento straordinario volto a salvare l’operatività di un ospedale cattolico e i posti di lavoro dei suoi dipendenti”. E ancora: “L’Apsa non ha conti segreti o cifrati. Si provi il contrario. In Apsa non ci sono neppure conti di persone fisiche e di altre persone giuridiche, se non i dicasteri della Santa Sede, gli enti collegati e il Governatorato. Uno Stato che non ha tasse o debito pubblico ha solo due modi per vivere: mettere a reddito le proprie risorse e basarsi sui contributi dei fedeli, anche quelli all’Obolo di San Pietro. Qui si vuole che la Chiesa non abbia niente e poi comunque provveda a dare la giusta paga ai suoi lavoratori e a rispondere a tante necessità, prima di tutto quelle dei poveri. È evidente che non può essere così. C’è la necessità di una spending review, per contenere i costi del personale e gli acquisti di materiali, e su questo si sta lavorando con grande cura e attenzione. Quindi nessun allarmismo sull’ipotetico default. Piuttosto parliamo di una realtà che si rende conto che bisogna contenere le spese. Come avviene in una buona famiglia o in uno Stato serio”.

Sugli immobili dell’Apsa Galantino spiega: “Si tratta di 2.400 appartamenti per lo più a Roma e a Castel Gandolfo. E di 600 tra negozi e uffici. Quelli non a reddito sono o gli appartamenti di servizio o gli uffici della Curia. Quanto al loro valore di mercato, è impossibile fare una stima. Prendiamo i palazzi di piazza Pio XII: quanto valgono in concreto? Se ci fai un albergo extralusso è un discorso, se ci metti gli uffici della Curia romana, come ora, non valgono niente. Inoltre circa il 60 per cento degli appartamenti è affittato ai dipendenti che hanno necessità, ai quali viene riconosciuto un canone di affitto ridotto. Questa è una forma di housing sociale: se lo fanno le grandi aziende private, sono realtà benemerite che si prendono cura del personale; se lo fa il Vaticano, siamo degli incompetenti o peggio, che non sappiamo amministrare il patrimonio”.

Il libro di Nuzzi contiene anche un’intervista al diretto predecessore di Galantino, il cardinale Domenico Calcagno, che, rompendo il silenzio che si era dato da sempre, risponde ad almeno una parte delle accuse sul rischio default. Secondo il giornalista, infatti, “dagli ultimi dati disponibili emerge che gli acquisti fuori procedura sono schizzati a oltre il 90 per cento, ponendo le spese della Curia fuori controllo”. Per Calcagno questa crescita esorbitante si deve innanzitutto al fatto che “essendo ex post, non è stata applicata la procedura, che invece sarebbe stato bene eseguire. Chi ha compiuto questa scelta penso l’abbia fatta per poter avere una velocità maggiore negli acquisti”. A Nuzzi che ribatte che si parla di oltre il 90 per cento, il porporato replica di averlo “segnalato più volte. È bene però ricordare che queste spese non le sostiene l’Apsa ma altri enti, che poi mandano i conti all’Apsa”. E aggiunge: “Va detto che solo a quel punto la banca centrale deve registrare i conti e pagare le fatture. Intervenire a quello stadio è ormai tardi: quello che è fatto è fatto”.

Nuzzi racconta anche dello scontro di potere in atto all’Apsa dopo l’uscita di Calcagno e l’arrivo di Galantino. “È dall’inverno del 2018 – scrive il giornalista – che inizia a svilupparsi un braccio di ferro sempre più incalzante tra la vecchia guardia e i nuovi arrivati. Galantino mira a conquistare il dicastero, spodestando l’ingombrante predecessore e mandando a casa la prima linea dei monsignori vicini a quest’ultimo. Gli uffici strategici da controllare sono tre, e coprono l’intero perimetro della banca centrale: le due sezioni tradizionali (patrimonio immobiliare e investimenti mobiliari) e un dipartimento meno noto ma altrettanto essenziale, il Ced, la struttura informatica. Quest’ultimo detiene la scatola nera di quanto è accaduto nella Santa Sede”. Nuzzi scrive anche che con l’arrivo dell’ex segretario della Cei due monsignori, Cristiano Falchetto e Mauro Rivella, che avevano “spadroneggiato all’Apsa sotto la presidenza di Calcagno”, vengono messi da parte. Falchetto viene rispedito nella sua diocesi di Verona, mentre Rivella “sarebbe ormai vicino all’addio. Per lui – scrive il giornalista – sarebbe pronta una nomina episcopale e il conseguente rientro in Piemonte. Galantino, infatti, sarebbe intenzionato a far nominare un suo uomo di totale fiducia come segretario della struttura che presiede”. È evidente, dunque, che lo scontro in atto tra vecchia e nuova gestione è ancora molto forte.

Twitter: @FrancescoGrana

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