Prima l’Ecuador, poi il Cile e ora la Bolivia: il Sud America brucia sotto l’ondata delle proteste di una popolazione sempre più indignata. A scatenare le proteste nelle strade di La Paz, Potosì, Sucre e altre città boliviane, è stata la gestione dello scrutinio elettorale per le presidenziali di domenica, che hanno visto contrapposti Evo Morales, alla guida del Paese dal 2006 e in lizza per il suo quarto mandato consecutivo, contro Carlos Mesa. Il problema è che, quando erano all’83 per cento, le proiezioni mostravano una chiara tendenza verso il ballottaggio previsto per il 15 dicembre, con Morales al 45 per cento e Mesa al 38. Ma la diffusione dei dati dal Tribunale supremo elettorale è stata interrotta per quasi 24 ore e quando è ripresa lo scenario era cambiato, con Morales al 46,86 per cento e Mesa al 36,72 per cento. Per evitare il ballottaggio il presidente doveva superare la soglia del 40 per cento e avere almeno il 10 per cento in più sullo sfidante. Con questo risultato, è uno 0,1 per cento a regalargli la vittoria al primo turno. Un passaggio definito dall’opposizione una “burla alla democrazia” e che ha fatto subito gridare ai brogli e scatenato le proteste nelle città sedi dei dipartimenti elettorali.
Senza freni, i sostenitori dei partiti di opposizione e dei comitati civici hanno attaccato ed incendiato l’edificio del Tribunale elettorale dipartimentale di Potosí e saccheggiato gli uffici elettorali di altri dipartimenti, fra cui Sucre e Tarija. Drammatici gli scontri a Potosí, dove la polizia ha battuto in ritirata di fronte alla determinazione dei manifestanti, mentre due persone si sono lanciate dal secondo piano del Tribunale elettorale per sfuggire ad un incendio, rischiando la morte. Il Comitato nazionale di difesa della democrazia (Conade) ha convocato uno sciopero nazionale indefinito a partire dalla mezzanotte di mercoledì, mentre il presidente del Comitato Pro Santa Cruz, Luis Fernando Camacho, ha dato tempo fino a mezzogiorno del 23 ottobre al Tribunale elettorale “per consegnare il conteggio dei voti al 100 per cento. In caso contrario ci riuniremo per disconoscere il presidente Morales e riconoscere il presidente votato dai boliviani”. Già otto città – La Paz, Potosí, Chuquisaca, Cochabamba, Oruro, Tarija, Beni e Santa Cruz – hanno deciso di scioperare.
Un comportamento, quello del Tribunale elettorale, criticato anche dall’Organizzazione degli Stati Americani, dall’Unione europea e persino dal vicepresidente del tribunale stesso, Antonio Costas, che martedì ha presentato la sua lettera di dimissioni, motivando la sua scelta con il fatto di non aver partecipato alla decisione di sospendere la trasmissione rapida dei risultati delle elezioni. Una “decisione sconsiderata – ha detto – con cui è stato screditato tutto il processo elettorale, portando a proteste sociali non necessarie, che spero si risolvano presto”.
Per tutta risposta, il capo dello Stato si è riunito con la coalizione che sostiene il suo governo (Conalcam), che ha rivolto un appello a “difendere la vittoria al primo turno” incolpando Carlos Mesa dei gravi disordini, mentre la presidente del Tse, María Eugenia Choque, ha assicurato di “non avere nulla da nascondere e che il processo elettorale è stato trasparente”.
L’Oea ha accettato di fare un’analisi dell’integrità elettorale, attraverso la Missione d’osservazione del processo elettorale, a condizione che poi le sue conclusioni siano vincolanti. Verrà quindi verificato il computo dei voti, aspetti statistici, il processo e la catena di custodia. Anche se i sostenitori di Morales da lunedì celebrano la vittoria, le organizzazioni sindacali gli hanno garantito il loro appoggio e annunciato enormi mobilitazioni per difendere il processo di cambiamento. Lo stesso che intendono fare i comitati civici e sostenitori di Mesa, pronti a scendere di nuovo in strada a protestare, e che hanno detto che continueranno a farlo anche se dovesse essere confermata la vittoria di Morales al primo turno, al motto di “disubbidienza e resistenza civile”.