“La sentenza ponendo fine all’automatismo che caratterizza l’ergastolo ostativo apre un varco potenzialmente pericoloso”. Tra i primi a parlare dopo la sentenza storica della Corte costituzionale che ha bocciato l’ergastolo ostativo, c’è stato il consigliere del Csm Nino Di Matteo. Proprio Di Matteo, quando a esprimersi era stata la Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo, aveva dichiarato al Fatto quotidiano: “Chi li conosce lo sa: solo il carcere a vita terrorizza i mafiosi“. “Dobbiamo evitare”, ha detto oggi dopo la sentenza della Consulta all’agenzia Adnkronos, “che si concretizzi uno degli obiettivi principali che la mafia stragista intendeva raggiungere con gli attentati degli anni ’92-’94. Spero che la politica sappia prontamente reagire e, sulla scia delle indicazioni della Corte costituzionale, approvi le modifiche normative necessarie ad evitare che le porte del carcere si aprano indiscriminatamente ai mafiosi e ai terroristi condannati all’ergastolo”.
La sentenza ha provocato numerose reazioni anche nel mondo della politica. Il Guardasigilli Alfonso Bonafede, che nei giorni scorsi aveva annunciato che il “governo si sarebbe battuto contro la sentenza della Cedu”, ha fatto sapere che ha immediatamente dato impulso agli uffici del ministero di mettersi subito al lavoro per analizzare le possibili conseguenze. “La questione ha la massima priorità”.
Ha espresso forti preoccupazioni anche Sebastiano Ardita, a lungo magistrato antimafia e ora presidente della commissione del Csm sulla esecuzione penale e la Sorveglianza: “Ora sta al Parlamento mantenere fermo il sistema della prevenzione antimafia e fare la propria parte per impedire che quella che dovrebbe essere una eccezione diventi una regola che va a beneficio di personaggi capaci di riorganizzare Cosa nostra e non rivolta a chi – in base a prove certe – sta fuori dalla organizzazione. Dovremo aspettarci una prevedibile pressione delle organizzazioni mafiose sulla Magistratura di sorveglianza”. Una sentenza che, “in linea con la Corte Europea, rivede il modello normativo fino ad oggi vigente di assoluta chiusura nella concessione di benefici ai mafiosi che non collaborano con la giustizia. Ma il suo contenuto non rappresenta di per sé un superamento di quel modello, perché rimette al legislatore il compito di modulare in concreto l’ampiezza di questa innovazione”.
Diversa invece la posizione del magistrato Alfonso Sabella: “Mi dispiace dire che in qualche modo ce la siamo cercata, applicando una serie di limitazioni forti della libertà degli individui anche nei casi in cui non erano necessari. In ogni caso trovo la sentenza della Consulta molto equilibrata e intelligente: ha lasciato uno spazio per mantenere inalterato l’istituto, ma ha dato una chance al detenuto ergastolano”. Per Sabella, che è stato in passato sostituto procuratore del pool antimafia di Palermo, “nella sostanza cambierà pochissimo. Piuttosto dovremmo fare una rivisitazione globale del nostro sistema detentivo. Il Paese dovrebbe investire sull’immissione di personale, mezzi, strutture e servizi per consentire all’amministrazione penitenziaria di fare il proprio lavoro”. Ma “ora però un intervento del legislatore è indispensabile. Serve una norma salvavita per tanti magistrati e operatori della penitenziaria. Quando si dà a un solo magistrato la discrezionalità di valutare se è a favore o contro un permesso, lo si espone ad un forte rischio”. In merito al carcere ostativo Sabella ha chiarito: “Sono sostenitore di questo strumento ma dobbiamo applicarlo quando è di sicurezza. Invece in alcuni casi lo abbiamo applicato come strumento di vendetta e tortura. Per esempio il mantenimento del 41 bis per Provenzano nell’ultima fase della sua vita è stato un errore strategico gravissimo, che abbiamo pagato in questo modo. Non c’era ragione di farlo morire al 41 bis”.