Cinema

John Travolta: “Richard Gere deve il suo successo ai film che io ho rifiutato”

Surreale ma vero, è uno degli aneddoti raccontati da John Travolta durante il suo Incontro Ravvicinato alla Festa del Cinema di Roma

di Anna Maria Pasetti

Terrence Malick ha smesso di fare film per 17 anni a causa mia”. Surreale ma vero, è uno degli aneddoti raccontati da John Travolta durante il suo Incontro Ravvicinato alla Festa del Cinema di Roma. Splendido 65enne, il divo è stato ieri il protagonista assoluto alla kermesse capitolina tenendo una conferenza stampa prima con tanto di chiodo “alla Grease” e l’incontro successivo col pubblico indossando una camicia bianca con volant. La folla l’ha portato in trionfo, sintomo della sua popolarità iconica creata da tre film che, da soli, hanno modellato l’immaginario collettivo di certo cinema americano dalla fine degli anni ’70 a metà anni ’90: Saturday Night Fever (La febbre del sabato sera) nel 1977, Grease nel 1978 e Pulp Fictionnel 1994 per la regia di Quentin Tarantino. Difficile dire quale dei tre abbia più inciso, possibile accomunarli sotto il segno dell’inconfondibile sorriso della star di origine italiana (i nonni sono emigrati negli States agli albori del secolo scorso) e della sua inimitabile passione per il ballo. Tanto che l’ex Tony Manero ha dichiarato che “ballare lo diverte più che recitare” e che oggi – benché meno “attivo” su quel versante – ama soprattutto il tango, come testimonia un video recentemente girato 3 to Tangodi Pitbull, anche se in quel contesto si danza la salsa.

E i registi, ad oggi numerosi e prestigiosi, con cui ha recitato in fondo non gli hanno mai negato un momento “dancing”, vedi il Tarantino di Pulp Fictionl a cui scena del ballo fra Vincent e Mia è entrata di prepotenza nella storia del cinema. Anche il suo modo di relazionarsi col pubblico (non ha negato né un autografo né un selfie facendo ritardare l’inizio dell’incontro di un’ora..) è travolgente e soave come un ballo, sintomo di una persona in apparenza serena dopo le note traversie. A Roma Travolta è arrivato guidando il suo jet privato “presi la patente da pilota quando mi fu proposto di girare Ufficiale e gentiluomo: io rifiutai il ruolo da protagonista perché avevo programmato l’esame e non volevo assolutamente rinunciarvi”. L’aneddoto è interessante perché inanella una serie di quattro rinunce a personaggi divenuti iconici e tutti – ironia della sorte – per la carriera di Richard Gere, che su almeno 3 di questi ha fondato il suo successo. Accanto al film di Taylor Hackford, Travolta elenca American Gigolo (“ma avevo avuto disaccordi con Paul Schrader”), Chicago (“non ero d’accordo sulla tipologia di character femminili della piece teatrale, e poi mi sono pentito perché nel film sono diversi..”) ma soprattutto I giorni del cielo di Malick. Ecco dunque il ricordo che ancora gli duole: “La premessa è che Terrence è l’uomo al 100% più sensibile che abbia mai incontrato, è un “sensiente” con tutto il suo corpo. Quando mi ha offerto il ruolo da protagonista ne I giorni del cielo non ho purtroppo potuto accettare per ragioni contrattuali. Malick l’ha presa male ma io non immaginavo al punto da non fare più film per 17 anni. Mi sono arrivati rumors che io fossi alla base di quel blocco artistico, e quando mi ha richiamato per La sottile linea rossa nel 1998 gliene ho chiesta conferma. Lui mi ha risposto che il rifiuto di Hollywood a lasciarmi recitare per lui in un film che riteneva così importante l’aveva ferito, gli aveva letteralmente spezzato il cuore, perché io rientravo nella sua vision rispetto a quel film. Quella sua conferma ha spezzato anche il mio di cuore”.

Travolta ha il mondo dello spettacolo nel sangue giacché entrambi i genitori erano nello showbiz, specie la madre che era “un’attrice e regista di talento”. “Mi hanno insegnato la professionalità al primo posto quando lavoravo, e li posso solo ringraziare, sia che io dovessi recitare il presidente degli Stati Uniti o una donna come in Hairspray il mantra per me è professionalità”. Fiero dei suoi film eterni, John sente il privilegio nel “far parte di qualunque film che resista al tempo, permettendo a un pubblico di goderne quando, dove e come desidera, oltre il presente e fuori dal tempo”. E se è vero che sia proprio “il pubblico a permettermi di essere sempre diverso da me stesso, dandomi la libertà di scegliere, di amare ogni ruolo” pensando ai registi dai quali ha sperimentato un nuovo modello di filmmaking non c’è dubbio questo sia Quentin Tarantino. “Il modo di fare cinema per Quentin era nuovo, diverso dagli altri con cui avevo lavorato, aveva una sua vision originale, ed è stato interessante osservarlo come attore. Mi ha permesso di essere molto libero nella mia perfomance, mi ha dato fiducia; gli ho persino dato dei suggerimenti, essendo più esperto di set, ma ritengo che il regista e l’attore abbiano ciascuno il proprio lavoro e non deve mai avvenire interferenza, semmai collaborazione e consigli”.

Il suo ultimo lavoro da attore – che la Festa di Roma proporrà domenica – si intitola The Fanatic ed è diretto da Fred Durst; si tratta del dramma del fan di una star hollywoodiana che si mette a pedinarlo in ogni dove, con un’ossessione dovuta a una malattia mentale. “Anche io ho avuto e ho i miei personaggi cult, ma comprendendo i disagi della popolarità, so bene controllarmi!”. Uomo e artista senza rimpianti, John Travolta non ha dubbi “Non rimpiango mai ciò che era ieri, la vita è sempre un oggi semmai un domani”.

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