Sono circa 650mila le famiglie che in Italia attendono una casa popolare. I soldi derivano dai fondi ex Gescal, i contributi versati, nel secolo scorso, da centinaia di lavoratori del programma Ina-casa e che gran parte delle regioni italiane hanno fin qui utilizzato solo in minima parte. Il Mef: "Valuteremo con le regioni progetti per la rigenerazione urbana". Unione inquilini: "Un altro miliardo è stato già speso per ristrutturare chiese e ponti"
Quasi 1 miliardo di euro, destinato alla realizzazione di case popolari, fermo da 20 anni sul conto corrente di Cassa Depositi e Prestiti. Mentre in Italia circa 650mila famiglie sono in attesa di una casa popolare. I soldi derivano dai cosiddetti fondi ex Gescal, ovvero dai contributi versati, nel secolo scorso, da centinaia di lavoratori che aderivano al cosiddetto programma Ina-casa e che gran parte delle regioni italiane hanno fin qui utilizzato solo in minima parte. A certificare l’esistenza di ben 970 milioni di euro è stato il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che lo scorso 9 ottobre ha risposto a un’interrogazione presentata dalla deputata di Leu, Rossella Muroni.(che partiva su un’inchiesta del 2016 de Il Salvagente firmata da Peter D’Angelo). In passato, il dato aggiornato non era mai stato comunicato da Cdp, per motivi di privacy.
Il “tesoretto” mai utilizzato dalle regioni – I fondi sono suddivisi tra le regioni italiane (ad eccezione della provincia autonoma di Trento, della Toscana, dell’Umbria e del Molise) a seconda di quanto è stato versato dai lavoratori tra il 1963 e il 1992 e di quanto eventualmente prelevato o rimpinguato dalle singole amministrazioni negli ultimi due decenni. E in alcuni casi il patrimonio è di tutto rispetto. Il “salvadanaio” più ricco è quello della Puglia, con 255 milioni di euro, seguita dal Lazio con 202 milioni e dalla Sicilia con 176 milioni; discreta cifra a disposizione anche per Lombardia (81 milioni), Calabria (68 milioni), Campania (51 milioni), Piemonte (46 milioni) e Sardegna (39 milioni). “Si sta valutando – si legge nel breve resoconto del ministero – la possibilità di utilizzare anche queste risorse nell’ambito delle politiche di rigenerazione delle città e delle aree interne che rappresentano una priorità del governo”.
Le parole del ministero, in realtà, risuonano da diversi anni nei dibattiti locali. Il problema è che molto spesso le regioni non riescono a mettersi d’accordo con i comuni per la gestione e la spesa di questi fondi. L’amministrazione del Lazio, ad esempio, è in lotta da almeno 4 anni con la città di Roma sulle modalità con cui stanziare questi fondi: nel 2017 la giunta guidata da Nicola Zingaretti aveva stanziato 30 milioni, per poi riprenderseli e destinarli ad un programma di divisione degli alloggi nella Capitale, visto che la gran parte dei nuclei familiari in lista d’attesa è composto da massimo tre persone, mentre le case popolari, in gran parte costruite negli anni ’70 e ’80, sono quasi tutte di grande metratura.
L’emergenza nelle città italiane – Proprio a Roma c’è una delle situazioni più gravi in termini di emergenza abitativa. Le famiglie in graduatoria ad oggi sono 12.789, con 10mila famiglie che vivono in poco più di 70 palazzi occupati e 1200 nei cosiddetti Caat (Centri di assistenza alloggiativa temporanea). Secondo i dati forniti a ilfattoquotidiano.it da Unione Inquilini, lo scenario appare ancora più drammatico nella Milano del boom edilizio: 23mila nuclei familiari hanno fatto richiesta di un alloggio popolare, con 10mila alloggi pubblici tenuti vuoti dalle amministrazioni locali e oltre 100 immobili “abbandonati al degrado”.
Altre situazioni di emergenza vengono segnalate a Taranto, dove 2.600 famiglie sono entrate in graduatoria erp e a Messina, con 600 nuclei in lista d’attesa, in crescita al ritmo di 108 sfratti già eseguiti nel corso del 2019 e, soprattutto, oltre 2700 persone che ancora vivono nelle baracche dal terremoto del 1908. “In generale – spiega Massimo Pasquini, segretario nazionale dell’Unione Inquilini – nel 2018 sono state oltre 56mila le sentenze di sfratto in tutto il Paese, con più di 30mila sfratti eseguiti con la forza pubblica e quasi 120mila richieste di esecuzione presentate da ufficiali giudiziari”. Tutto ciò senza contare i 14mila senzatetto censiti da Caritas e le circa 12mila persone di etnia rom equamente distribuite fra campi attrezzati e “tollerati”.
Il governo stanzia 1 miliardo, ma non sono fondi ex Gescal – Nei giorni scorsi, il neo ministro alle Infrastrutture, Paola De Micheli, ha annunciato che con la prossima manovra economica il governo stanzierà 1 miliardo di euro per finanziare “un piano per far rinascere le case e i quartieri delle nostre città”, attraverso “la rigenerazione degli edifici, il sostegno alle famiglie in affitto e i cantieri nei piccoli comuni”.
Ma il miliardo di cui parla la titolare delle infrastrutture, a quanto precisa l’ufficio stampa del dicastero, non è in alcun modo riferibile al tema del fondi ex Gescal. “Sarebbe quanto mai urgente – affermano i deputati di Leu, Rossella Muroni, Erasmo Palazzotto e Federico Fornaro – utilizzare queste risorse per avviare quel piano di edilizia residenziale pubblica senza ulteriore consumo di suolo, perché basato sul recupero degli immobili inutilizzati, che avevamo già sollecitato con la mozione sulle periferie approvata dalla Camera in luglio”.
Come sono stati utilizzati i fondi in passato – Negli anni scorsi il denaro custodito presso la Cassa Depositi e Prestiti era ancora più elevato, ma un cospicuo importo, dal 2000 a oggi, è stato dirottato dalle Regioni su altre voci. Operazioni in alcuni casi finite sotto la lente della Corte dei Conti. Unione Inquilini, in una scheda nei giorni scorsi a ilfattoquotidiano.it, cita alcune vicende come quella della Campania, che fra il 2003 e il 2004 ha assegnato ben 550 milioni di euro fra quelli a disposizione per ripianare il deficit della sanità, mentre la Toscana ha investito circa 130 milioni nel trasporto pubblico locale.
Secondo il sindacato, ci sono altri casi “minori” ma significativi. Come quello di Ragusa, che poco tempo fa avrebbe spostato 3,2 milioni di euro sulla ristrutturazione di un complesso parrocchiale, o Cosenza, con 20 milioni di euro utilizzati per la realizzazione di un ponte inaugurato nel 2018. “Stiamo preparando un dossier da inviare alla Corte dei Conti e al ministero dell’Economia e delle Finanze”, annuncia Pasquini.