Un paziente, facendo libere associazioni, mi racconta che in una casa in montagna dove si reca saltuariamente si erano insediati dei ghiri. Nel giro di pochi mesi si erano moltiplicati a dismisura, per cui rosicchiavano il tetto in legno. Lui ha ingaggiato una lotta senza quartiere per allontanarli che ha avuto alterne fortune, per poi portarlo alla vittoria e all’allontanamento degli animali. Afferma che, se i primi due ghiri avessero abitato il tetto senza riprodursi così smodatamente, lui non sarebbe intervenuto in modo radicale.

Si sente in colpa e si vergogna per avere usato metodi feroci e crudeli per debellarli. Mi parla poi delle cimici che hanno invaso una piantagione di pere del vicino, anche queste ultime moltiplicandosi in modo esagerato. Arriva alla fine a paragonare la riproduzione fuori ogni misura degli esseri umani sulla terra.

C’erano voluti millenni per arrivare alla fine del secolo scorso al numero già impressionante di un miliardo circa di individui e, nel giro di un secolo, si è arrivati a sette miliardi per raggiungere, secondo le previsioni, la stratosferica cifra di 15 miliardi fra pochi decenni. Si tratta di un paziente di 33 anni che sta riflettendo, assieme alla compagna, sull’idea di avere un figlio. Ha studiato materie scientifiche, per cui mi racconta che nella galassia in cui viviamo si stima siano presenti fra i cento e i 250 miliardi di stelle simili al nostro sole. Si chiede che senso abbia tutto questo.

Naturalmente non ci sono risposte agli interrogativi che si pone questo ragazzo. C’è però la possibilità di riflettere e condividere con lui i timori della paternità. Lui sa che ho due figli grandi e si sente rassicurato dalla costatazione che sono sopravvissuto alla paternità. Quando ero ragazzo io mi pare che fosse quasi automatico e naturale pensare a riprodursi, dopo aver incontrato un partner adeguato.

Forse eravamo più incoscienti, nel senso che agivamo in modo più istintivo, senza tanto riflettere. Ora i ragazzi mi paiono molto, forse eccessivamente riflessivi. Si pongono mille interrogativi e, soprattutto, vivono il senso della precarietà rispetto al futuro. Forse proprio questo aspetto è l’elemento di maggior distanza fra la mia generazione e quella attuale.

Mentre nella generazione precedente c’era l’illusione e la fiducia nel progresso, attualmente prevalgono il timore e la disillusione. Questo ragazzo ha un buon lavoro da fisico presso un’industria e una ragazza medico che guadagna bene. Potrebbe tranquillamente mantenere un figlio. La sua riflessione e dubbiosità è legata alla domanda riguardo al senso da dare alla sua vita.

Assisto con una certa rabbia alla manipolazione a fini commerciali – per vendere prodotti – della funzione del desiderio. Viene imposto il modello dell’eterno adolescente nelle pubblicità, nei film e nei modelli televisivi. Forse anche questo elemento può incidere nel determinare in un ragazzo giovane il timore di abbandonare l’adolescenza e la spensieratezza apparente, per assumere il ruolo di padre.

“Chi te lo fa fare”, viene sottilmente inculcato nei messaggi di chi vuole vendere prodotti. Vivi l’attimo, consuma per sentirti vivo, non stare a progettare un futuro. Capisco che in questo post ho posto solo suggestioni e interrogativi. Stiamo parlando di un elemento così intimo e profondo che sarebbe fuori luogo provare anche solo a fornire spiegazioni e risposte.

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