Sono nato nel 1938 a Milano e vorrei parlare di due personaggi nati nella mia stessa città d’origine: uno più anziano di me (1905 – morto nel 1984) e l’altro molto più giovane di me (1973). La tradizione milanese contempla da sempre la figura del baüscia (la ü va letta alla francese).

Più che un sostantivo, questo termine caratterizza da sempre una parte sostanziale di un binomio: baüscia – casciavit, nato nel mondo sportivo calcistico milanese, dove delle due squadre locali (Inter-baüscia e Milan-casciavit), la prima aveva preso cinque scudetti di fila mentre la seconda restò a bocca asciutta per un lunghissimo periodo (1907-1951). Con l’andar del tempo, questo binomio assunse anche un poco di colorazione sociale: il baüscia tendeva a collocarsi nell’area più benestante, impiegatizia; il casciavit aveva connotazioni un poco più plebee.

Saltando a piè pari la storia di questo binomio, la tensione-scontro fra baüscia e casciavit tocca il suo massimo nel secondo dopoguerra, quando in Lombardia emerse una vis di ripresa e di ritorno alla vita tale per cui si parlava di Milano “locomotiva d’Italia”, con le sue semicomiche ma efficaci figure dei cumenda.

In verità questo antagonismo nella gente aveva forme gentili: perfino la musica di allora, quella dell’apprezzatissimo maestro Giovanni D’Anzi (O mia bèla Madunina, Nostalgia de Milan) ne parlava con tanta bonarietà. I “terroni” venivano a frotte a Milano per lavoro, dove non furono mai respinti ma, al contrario, accolti e integrati con i locali. La televisione ancora non c’era, ma c’erano parecchi filmetti di impronta comica: stranamente questi film (in bianco e nero) si servivano di comici centro-meridionali, di grande levatura, ed erano molto apprezzati dai milanesi.

La figura del baüscia non occupò grandi spazi in questi film: si stava affermando uno strato di fresca borghesia (piccola) che timidamente, ma tenacemente, costruiva il proprio mito. E in questo mito la figura del baüscia stonava e molto. Finché, quasi all’improvviso, comparve la figura ridondante di un attore milanese: Tino Scotti. Che ebbe un notevole successo, anche se breve.

In realtà Tino Scotti era, innanzitutto, un calciatore e anche apprezzato. La svolta della sua vita avvenne nel 1933 quando lasciò la sua ultima squadra (il Fanfulla) e si dedicò al teatro con successo: recitò in parti molto serie con Giorgio Strehler e con Franco Enriquez, ma affrontò anche parti comiche con ottimi risultati. La sua caratteristica fondamentale era la parlantina: parlava con la velocità di un kalashnikov, ma in modo nient’affatto approssimato, bensì preciso e sempre coerente e comprensibile. Esprimeva una comicità colta, ben comprensibile, elegante, ma da baüscia milanese.

Era un baüscia un po’ particolare: un baüscia-cavaliere piuttosto raffinato e ridondante. Ebbe un buon successo; la sua figura sparì quando la borghesia da piccola e sognatrice divenne più matura e consapevole delle sue caratteristiche. Anche il contrasto Milano-Napoli scemò fino a diventare un’ombra: evidentemente la borghesia di allora si riconosceva nei valori (comicamente espressi, ma valori) di Tino Scotti: celebre il suo motto Ghe pensi mi – che poi lui declinava subito: “Ghe – nome, Pensi – cognome, Mi – targa”.

Poi cambia tutto: cresce il benessere, entriamo in Europa, ci confrontiamo sempre di più con culture e spazi internazionali e il contrasto milanese-terrone sparisce, non c’è più: forse in qualche bar delle periferie lo si sente ancora, ma sempre più solo sussurrato. Umberto Bossi lo riesuma, a puri fini di consenso. Non la borghesia, bensì le periferie abboccano: si volle creare un nemico della vita buona lombarda, minata dalla presenza di incapaci e lazzaroni. Balle, ma attecchirono.

Oggi il campione di questa scemenza si chiama Matteo Salvini: che però, astutamente, ha rimosso “dàgli al terrone” (di cui si vantava specialista) e ha allargato il campo del consenso con un’operazione di palese falsità. E la borghesia di oggi, non certo colta e fine come quella di Tino Scotti, lo applaude. Salvini è il baüscia: ma quanto al cavaliere…

È rozzo, volgare, indugia sul tono sbracato, così come nell’abbigliamento. Non è un politico, in quanto non porta nessun progetto politico utile al paese: è solo un imbonitore. Viene da quella Lega Nord dove c’era Giancarlo Pagliarini (fu pure ministro): quando comparve sulla scena politica Silvio Berlusconi lo bollò con uno sprezzante casciaball.

Ecco: dal baüscia-cavaliere simpatico, colto, affabulatore, al baüscia-casciaball ruspante, sbracato, imbonitore dalla parlata infantile. Altro che kalashnikov! Ha una parlata greve, untuosa: c’è un che di viscido nel suo mostrarsi sempre caloroso, scamiciato, panza in fuori: “omo de panza” dice Salvini. Sì, profonda la differenza fra il baüscia-cavaliere e il baüscia-casciaball: quella fra la spontaneità e la menzogna.

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