Anche la Chiesa cattolica deve pagare l’Imu, oltre agli arretrati per l’Ici non pagata tra il 2006 e il 2011. È l’obiettivo di un disegno di legge, depositato a Palazzo Madama e sottoscritto da 76 senatori del Movimento 5 stelle, che i parlamentari sono pronti a tradurre in un emendamento alla manovra. Tutti gli immobili della Chiesa cattolica, delle congregazioni o anche di associazioni o società che siano legate alla religione cattolica e che prevedano strutture commerciali come ristoranti, caffetterie o hotel, sono tenuti a pagare l’imposta municipale propria, sostiene il testo proposto da Elio Lannutti e firmato anche dall’ex ministro Danilo Toninelli. Non solo: si chiede anche di recuperare l’Ici non pagato dalla Chiesa cattolica tra il 2006 e il 2011. Un arretrato che, secondo le stime Anci, vale 5 miliardi di euro. “Tali somme sarebbero sufficienti ad evitare gli aumenti della cedolare secca, della tassa sulle transazioni immobiliari, dei bolli sugli atti giudiziari, del biodiesel e della plastic tax“, afferma Lannutti.

È un tema che “torna come una minestra riscaldata che non è più buona. È stato più volte ribadito di avere uno sguardo ampio che tenga conto che questi immobili sono di sostegno a una pastorale che è al servizio della gente e quindi sarebbe un penalizzare chi apre le strade per iniziative di bene“, replica mons. Giancarlo Bregantini, interpellato dall’Ansa. Il vescovo di Campobasso anzi stigmatizza che “la manovra non affronta le vere emergenze come la denatalità e il contrasto al gioco d’azzardo“. Tornare sulla questione Imu, aggiunge: “Mi sembra che si voglia raschiare il fondo del barile, penalizzando le opere sociali collegate ai beni della Chiesa, specialmente in questo momento di difficoltà sociale evidentissima”.

La proposta dei senatori Cinquestelle prende spunto però da una sentenza della Corte di Giustizia europea che, partendo dal ricorso presentato da una scuola e da un B&b, ha stabilito che lo Stato italiano dovrà riscuotere l’Ici non versata dalla Chiesa cattolica tra il 2006 ed il 2011 in virtù di una deroga concessa dal governo Berlusconi, successivamente giudicata irregolare. Per l’Ue quel sistema di esenzioni era incompatibile con le norme sugli aiuti di Stato, perché dava un vantaggio selettivo alle attività commerciali svolte negli immobili di proprietà della Chiesa rispetto a quelle portate avanti da altri operatori.

Con il governo Monti e il passaggio da Ici a Imu vennero esentati solo quegli immobili della Chiesa dove non venivano svolte attività economiche. Secondo i firmatari della proposta, però, questa legge “presenta molte scappatoie” che consentono di evitare il pagamento dell’imposta anche dove si produce reddito. Un nodo che secondo i firmatari si potrebbe risolvere “facendo controllare i bilanci delle società o delle associazioni che li gestiscono da soggetti terzi, che se ne assumono la responsabilità”. La norma, in particolare, prevede che tutte le associazioni o società legate alla religione cattolica o congregazioni “il cui giro d’affari è pari o superiore ai 100mila euro annui sono tenute a farsi convalidare i propri bilancio da un certificatore esterno” che in caso di bilancio non veritiero può essere “condannato ad un periodo di detenzione dai 3 ai 5 anni“.

Secondo i dati del 2018 la Chiesa cattolica è proprietaria di 140 università, 6.228 scuole materne, 1.280 scuole primarie, 1.136 scuole secondarie, 399 nidi d’infanzia, 354 consultori familiari, 1.669 centri di difesa della vita e della famiglia, 111 ospedali di medie dimensioni, 10 grandi ospedali, 1.853 ospedali e case di cura, 136 ambulatori. Tutte queste strutture, viene fatto notare, portano alle casse della Chiesa 620 milioni di euro all’anno dall’Imu non pagata. Quindi, i punti all’oggetto del ddl sono due: il primo, recuperare i cinque anni di Ici non versata, per cui si propone di introdurre autocertificazioni sull’uso degli immobili da parte della Chiesa nel periodo compreso tra il 2006 e il 2011. Secondo, far pagare l’Imu agli immobili sfruttati commercialmente e che riescono a eluderlo.

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