Le Sezioni Unite penali della Suprema Corte - dato il contrasto di orientamenti tra sentenze della stessa Cassazione - hanno dato risposta "negativa" al quesito di diritto sulla estensibilità dei principi affermanti dalla Corte europea, il 14 aprile 2015 nel caso 'Contrada contro Italia', agli altri condannati per concorso esterno, come Marcello Dell’Utri
La sentenza della Corte europea dei diritti umani su Bruno Contrada non si può applicare a tutti gli altri casi. Lo hanno deciso le Sezioni Unite della Cassazione negando che i condannati per concorso esterno a Cosa nostra, “fratelli minori” dell’ex 007 del Sisde, possano ottenere la revisione usando il verdetto Cedu: non è una “sentenza pilota” e non è “espressione di una consolidata giurisprudenza Ue“. La decisione su Contrada risale al 2015: ha provocato l’annullamento della condanna dell’ex superpoliziotto perché era stato condannato per fatti commessi prima dell’ottobre 1994, quando la tipologia di quel particolare tipo di reato – concorso esterno in associazione mafiosa – è stata codificata.
In particolare, le Sezioni Unite penali della Suprema Corte – dato il contrasto di orientamenti tra sentenze della stessa Cassazione – hanno dato risposta “negativa” al quesito di diritto sulla estensibilità dei principi affermanti dalla Corte europea, il 14 aprile 2015 nel caso ‘Contrada contro Italia‘, agli altri condannati per concorso esterno, come Marcello Dell’Utri, che “si trovino nella medesima posizione quanto alla prevedibilità della condanna per il reato di concorso esterno in associazione a delinquere di tipo mafioso, e, in caso affermativo, quale sia il rimedio processuale applicabile”. Al quesito, gli ermellini hanno risposto negativamente “in quanto la sentenza Cedu su Contrada non è una sentenza pilota e non può considerarsi espressione di una giurisprudenza consolidata europea”. Così i supremi giudici hanno trovato la strada per disattendere Strasburgo. Nell’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite si sottolineava che la “dottrina” ritiene che il verdetto Cedu su Contrada abbia “irrigidito” i criteri di valutazione del concorso esterno.
“Sul piano giuridico non voglio pronunciarmi perché non sono un giurista ma sul piano umano mi dispiace che la sentenza Cedu che mi riguarda non possa essere applicata ad altri che si trovano nella mia stessa situazione”, ha commentato Contrada, che era stato condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa nel 2007. Era l’aprile del 2015, invece, quando la Corte Europea dei diritti umani aveva stabilito che l’ex superpoliziotto non andava condannato per concorso esterno perché all’epoca dei fatti contestati (che vanno dal 1979 al 1988) il reato “non era sufficientemente chiaro“. Lo sarebbe diventato solo nel 1994 con la sentenza Demitry, che tipizzava per la prima volta quella inedita fattispecie nata dall’unione dell’articolo 110 (concorso) e 416 bis (associazione mafiosa) del codice penale. A “inventarsi” quel reato al tempo del pool antimafia di Palermo era stato Giovanni Falcone: occorreva un modo, infatti, per perseguire i colletti bianchi che contribuiscono continuativamente alla crescita dell’associazione mafiosa senza mai farne parte a livello organico.
Due anni dopo la Cassazione ha annullato la condanna per Contrada. Quelle cinque righe del dispositivo emesso dalla prima sezione della Corte di Cassazione nella tarda serata del 6 luglio 2017, infatti, rischiano di spazzare via un quarto di secolo di condanne per concorso esterno. “La corte suddetta annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata e dichiara ineseguibile e improduttiva di effetti penali la condanna emessa nei confronti di Contrada Bruno”, scrivono i giudici polverizzando i dieci anni di carcere inflitti all’ex dirigente di polizia nel 2007, alla fine di un tortuoso iter giudiziario. Contrada, dopo una lunga custodia cautelare in carcere, tornò in cella e scontò tutta la pena fino al 2012. A livello pratico, dunque, gli effetti della pronuncia si ripercuoteranno solo sull’aspetto pensionistico, dato che il superpoliziotto era stato sospeso dalla pensione dopo la condanna.