Doveva essere un progetto che aiutasse l’economia della Calabria. Invece a distanza di ben 13 anni lo stabilimento di depurazione e vendita di prodotti ittici che la famiglia di Rino Gattuso aveva aperto a Corigliano Calabro si è trasformato in una rogna. Nessun guaio giudiziario, ma certamente una storia che colpisce l’immagine dell’ex calciatore del Milan. Compagno di avventura del padre di Ringhio, Francesco Gattuso, era infatti Giuseppe Catapano, tarantino di 51 anni a cui qualche giorno fa gli uomini della Dia di Lecce, guidati dal vice questore aggiunto Carla Durante e coordinati dal pm Milto De Nozza, hanno sequestrato 5 milioni di euro.
Chi è Catapano – Un patrimonio nato, secondo l’accusa, reinvestendo il fiume di denaro illecito che il 51enne ha accumulato negli anni Ottanta e Novanta con le estorsioni ai miticoltori di Taranto. Catapano non è un criminale qualunque, anzi. Nel 1996 è stato condannato per associazione mafiosa, estorsione e armi. Una sentenza pronunciata dieci anni prima della joint venture con la famiglia Gattuso. Ma non è l’unica volta in cui il tarantino, fratello del boss Dino, ha avuto a che fare con la giustizia. Pochi anni fa è stato coinvolto in un’indagine per disastro ambientale: il pm Mariano Buccoliero, infatti, ha bloccato un traffico di oloturie che la famiglia Catapano esportava verso la Cina dove sono considerate una vera prelibatezza. Un business da milioni di euro a discapito dell’ecosistema marino al punto che la procura di Taranto ha contestato anche l’associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale.
L’avventura con papà Gattuso nel 2006 – Lo stabilimento di depurazione fu inaugurato nel dicembre 2006, pochi mesi dopo che Ringhio era diventato campione del mondo con la Nazionale di Lippi in Germania. “La Calabria – aveva dichiarato in quell’occasione l’ex allenatore e centrocampista del Milan – è una regione come tutte le altre e nel cui futuro io ho fiducia. Ha bisogno solo della buona volontà degli imprenditori. Io sono qui perché ho deciso di investire con mio padre e mio zio e tutta la mia famiglia in un progetto in cui credo”. Un Rino Gattuso raggiante e orgoglioso che oggi, a distanza di oltre un decennio, nega tutto.
1 /7 Gattuso parla nel giorno dell’inaugurazione
Il campione del mondo: “Non c’entro nulla” – Contattato da Ilfattoquotidiano.it afferma di non aver mai preso parte alla società: “Io non c’entro niente, quello era un progetto di mio padre”. Ma quel giorno di fine anno era stato lui a rilasciare interviste e a ricevere gli onori di un’intera regione. Secondo quanto emerge dalle cronache dei quotidiani locali, tra i presenti all’evento c’era l’allora presidente della Regione Calabria Agazio Loiero, il presidente della Provincia di Cosenza Mario Oliverio e alla fine della cerimonia era intervenuto persino l’arcivescovo della diocesi di Rossano, monsignor Santo Marcianò. Tutti lì in onore di Ringhio, l’uomo che attraverso la onlus intitolata “Forza ragazzi” già sosteneva famiglie in difficoltà e ora voleva “investire – come riporta un articolo di Repubblica che annunciava l’evento – sulla gente di Calabria, dando una opportunità ai concittadini più giovani e disoccupati”.
La storia della società, poi liquidata – Dalle carte dell’inchiesta emerge che il padre di Rino Gattuso deteneva il 50% delle quote della Catapano&Gattuso Prodotti Ittici S.r.l., l’altra metà era nelle mani di Giuseppe Catapano. Pochi mesi dopo, però, il mafioso tarantino decide di cedere le quote e così la famiglia Gattuso versa 15mila euro in contanti e altri 45mila euro come quota capitale. Al Fatto.it, Gattuso ha risposto con la solita franchezza: “Se mio padre sapeva chi fosse Catapano? Sinceramente non lo so. Non ti voglio dire una stupidaggine, ma io davvero non lo so. È un uomo adulto non un ragazzino, quindi onestamente non so dirti che se sapeva chi fosse o meno”. Gattuso prende le distanze, insomma, eppure quel giorno era stato lui il protagonista dei festeggiamenti. Come quando a proprio a Gallarate portò all’inaugurazione del suo ristorante Ronaldinho, David Beckham e Massimo Ambrosini. “Ma no – aggiunge l’ex allenatore del Milan – le cose non c’entrano assolutamente niente. Ripeto, io non c’entravo niente con quella idea in Calabria: io quel giorno mi sono trovato a passare e sono stato alla festa”. Una festa finita male, visto che solo due anni dopo la società finisce in liquidazione e dopo altri 11 crea imbarazzo e fastidio.