Da un lato la Corte dei Conti, che nel chiedere urgentemente al governo una riforma della giustizia tributaria propone di assumere essa stessa il ruolo di giudice nelle controversie tra fisco e contribuente visto che la Costituzione già le affida “la salvaguardia degli interessi dell’Erario”. Dall’altra i giudici delle commissioni tributarie che insorgono parlando di “gravi rischi di incostituzionalità di tale scelta, che priverebbe sia i contribuenti che gli Uffici finanziari della possibilità di ricorrere in Cassazione avverso le sentenze di secondo grado in materia di diritti soggettivi”. Concordi gli avvocati tributaristi, che avvertono: “Il trapasso ai giudici contabili delle funzioni giurisdizionali tributarie appare apertamente orientato a preservare gli interessi dell’Erario e del Fisco a scapito dei cittadini contribuenti“.
Tutto nasce da una risoluzione del Consiglio di Presidenza della Corte, inviata due giorni fa al premier Giuseppe Conte dal presidente Angelo Buscema. “Nel solco del dibattito che si sta sviluppando intorno alla riforma della giustizia tributaria, la Corte dei Conti intende offrire, quale Magistratura posta dalla Costituzione a salvaguardia degli interessi dell’Erario, il proprio contributo al migliore esercizio della giustizia tributaria stessa”, si legge. “E’ urgente e imprescindibile una riforma della giustizia tributaria, nel rispetto delle attribuzioni costituzionali della Corte medesima”, perché il “giudice della spesa diventi anche giudice dell’entrata“. Dopo aver ricordato che nella precedente legislatura è stato presentato un numero rilevante di disegni di legge in materia, la Corte sottolinea che “i vari orientamenti di riforma sono sostanzialmente convergenti, alla luce dei più rilevanti problemi che oggi caratterizzano la giustizia tributaria, sia in termini di maggiore imparzialità, indipendenza e terzietà dei giudici tributari, che in termini di rafforzamento della loro professionalità, da assicurare anche mediante uno statuto unitario di assunzione e di trattamento economico, così come pure in termini di recupero di una più ‘ragionevole durata’ del processo tributario, da assicurare anche mediante ‘giudici monocratici’ e con istituti deflattivi del contenzioso”. Poi insiste sull’idea di fondo di “concentrare in una stessa Magistratura la salvaguardia degli interessi dell’Erario e del Fisco”.
Non l’ha presa bene il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria: “La Corte dei Conti, come riportato in un comunicato stampa del 24 ottobre 2019, ha manifestato l’interesse a candidarsi a diventare giudice tributario esclusivo, autoassegnandosi tale giurisdizione previo totale esautoramento delle competenze delle attuali Commissioni Tributarie e della Corte di Cassazione. Il Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria non può non evidenziare i gravi rischi di incostituzionalità di tale scelta, che priverebbe sia i contribuenti che gli Uffici finanziari della possibilità di ricorrere in Cassazione avverso le sentenze di secondo grado in materia di diritti soggettivi”.
Contraria anche l’Unione nazionale delle camere degli avvocati tributaristi, che ritiene “inaccettabile” la risoluzione. Secondo i professionisti, “lo spostamento della giurisdizione tributaria ai giudici della Corte dei Conti, nella permanenza delle attuali Commissioni tributarie di merito, e l’autoriconoscimento di competenza specifica e di esperienze settoriali, idonee a compensare il supposto deficit da parte degli attuali amministratori della giustizia tributaria, desta sorpresa nella misura in cui il trapasso ai giudici contabili delle funzioni giurisdizionali tributarie appare apertamente orientato a preservare gli interessi dell’Erario e del Fisco a scapito dei cittadini contribuenti, della cui figura e della cui pari dignità processuale, più volte riconosciuta dalla Corte Costituzionale, non v’è alcun cenno nella risoluzione”.