In contemporanea con l’emergenza ambientale, è scoppiata quella turistica. Da bravi esterofili quali siamo, anche noi italiani abbiamo iniziato a usare il termine anglosassone che la definisce: overtourism. Potrei snocciolare una serie di numeri per inquadrare il fenomeno, ma devierei dall’obiettivo di questo articolo, che è quello di fornire soluzioni all’emergenza da “eccesso turistico”.

Mi limito a riferirvene solo un paio, forse i più clamorosi. Uno: nel 2018 il turismo di massa ha generato un indotto monstre di 8.800 miliardi di dollari l’anno. Risultato? Tanti soldi nelle casse delle amministrazioni locali e dei privati collegati all’attività ricettiva ma: residenti sul piede di guerra (Barcellona), infrastrutture compromesse (Kyoto), emergenza abitativa (Bologna), attrazioni impossibili da visitare (Dubrovnik). E l’elenco potrebbe andare avanti ad infinitum. Due: l’eccesso di turismo è responsabile dell’8% delle emissioni globali di gas serra. Si tratta dunque di un tema strettamente correlato con le tematiche ambientali.

La questione è complessa e può apparire fuori da ogni controllo. Soprattutto se si pensa che l’Organizzazione mondiale del turismo prevede nel 2030 due miliardi di persone in viaggio. La “colpa” è anche di alcuni paesi come la Cina, dove si sta formando una classe media incline a spostarsi. L’Istituto di ricerca cinese sul turismo estero ci dice, ad esempio, che i 145 milioni di cinesi che viaggiavano nel 2017 diventeranno 400 milioni entro il 2030.

Occorre quindi iniziare a darci un taglio, sia in Italia che all’estero, per evitare il sovraffollamento delle città d’arte, di mare e in generale di tutte le destinazioni percepite come mete fortemente turistiche. Queste sono le misure su cui bisogna puntare, anche a costo di risultare impopolari.

Viaggi, bisogna dare un taglio all’overtourism. Ecco dodici misure su cui bisogna puntare

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