A due mesi e mezzo dalle primarie l'Argentina elegge il presidente della Repubblica, metà dei deputati e un terzo dei senatori. I 33,8 milioni di elettori decidono a chi affidare le sorti di un Paese con debito alle stelle, Pil in calo e povertà in aumento. A Montevideo il Frente Amplio, al governo dal 2005, rischia per debolezza della situazione economica
Dopo le elezioni in Bolivia, domenica 27 ottobre tocca ad altri due paesi sudamericani vicini a scegliere il proprio presidente: Argentina e Uruguay. Per entrambi i risultati non sono scontati, ma mentre nella patria di Peron ci sono buone possibilità che torni al potere Cristina Fernandez, candidata come vicepresidente di Alberto Fernandez, in Uruguay la coalizione di sinistra rischia di perdere dopo 15 anni al governo, con l’uscita di Tabaré Vazquez.
Per quanto riguarda l’Argentina, a incidere sulle preferenze degli elettori sarà soprattutto la difficile situazione economica del paese, con un’inflazione che si mangia gli stipendi degli argentini. Secondo il Fondo Monetario Internazionale (Fmi), l’Argentina chiuderà il 2019 come il terzo paese con più inflazione al mondo, dopo Venezuela e Zimbabwe. Quando fu eletto nel 2015, Mauricio Macri aveva promesso di ridurre l’inflazione e cancellare la povertà. Purtroppo per lui, entrambe sono aumentate durante il suo governo. Al suo arrivo il paese stava crescendo ad un tasso del 2,7 per cento, dopo un periodo altalenante del precedente governo, mentre da settembre 2018 il paese è in recessione e la crescita è crollata fino al -3,1 per cento.
Le aspettative riposte dai mercati e dagli organismi finanziari su Macri, come l’uomo destinato a rimettere il paese sulla strada della disciplina fiscale, sono sostanzialmente andate disattese. Dopo la grande crisi economica e inflazione del 2001, l’Argentina trascina i suoi squilibri da un governo all’altro, senza che nessuno riesca a risolverli. Adesso Macri, di centro-destra, che ha dovuto chiedere un pesante prestito all’Fma, dovrà vedersela con il duo dei Fernandez (della coalizione peronista-kirchnerista Frente de todos), e non è dato per favorito, dopo che alle primarie di agosto i due lo hanno battuto. Un tandem che, quando è stato annunciato lo scorso maggio, ha lasciato il paese a bocca aperta, visto che tutti si aspettavano che Cristina corresse come presidente, e senza contare che Alberto Fernandez si era dimesso dalla carica di Capo di gabinetto dopo otto mesi del suo governo e negli anni successivi aveva criticato pesantemente la Kirchner.
In Uruguay invece sono 4 i candidati che si affronteranno e il Frente amplio, la coalizione di sinistra al potere da 15 anni, rischia di perdere. Il favorito è Daniel Martinez, del partito di governo uscente, e contro di lui ci sono Luis Lacalle Pou (del Partito nazionale), Ernesto Talvi (del Partito Colorado) e Guido Manini Rios (di Cabildo Abierto, partito nato da qualche mese). Fondato nel 1971, il Frente Amplio è sempre stato un partito eterogeneo, che raccoglie socialisti, comunisti e cristiano democratici.
Da quando nel 2005 è arrivato alla presidenza per la prima volta, adesso pare essere vittima dell’usura del tempo. I due mandati di Tabaré Vazquez (2005-2010, 2015-2020) e di Pepe Mujica (2010-2015) sono stati marcati da riforme che hanno fatto il giro del mondo, ma anche da problemi che l’Uruguay non aveva mai vissuto prima. Primo fra tutti quello della sicurezza e dell’aumento di furti e omicidi, da molti addebitato alla liberalizzazione della cannabis, che dal 2013 può essere venduta e coltivata legalmente. Inoltre anche se c’è stato un 4,3 per cento di crescita media annuale, nel 2018 il deficit è arrivato al 4,8 per cento, il più alto da 30 anni. Con la legalizzazione della cannabis, voluta da Mujica, si sono sottratti 22 milioni di dollari al narcotraffico, ma l’aumento degli omicidi registrato negli ultimi anni spaventa gli uruguyani, abituati a vivere in un paese molto tranquillo: secondo le cifre ufficiali gli omicidi sono aumentati dell’80 per cento e le denunce di furto del 200 per cento. Quello che viene ritenuto il risultato principale è la lotta al fumo avviata dal presidente uscente. E’ probabile che domenica Daniel Martinez, ex sindaco di Montevideo, prenda la maggior parte delle preferenza, ma non in numero sufficiente da vincere al primo turno. E dovrà vedersela al ballottaggio del 24 novembre, probabilmente, con Lacalle. Tuttavia, come ha detto lo stesso Mujica, Martinez non è un leader naturale, “non riesce a smettere di essere un ingegnere”. E’ probabile che i due candidati cerchino di allearsi con gli altri due partiti per il secondo turno.