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Il mondo arabo protesta per ottenere un cambiamento. E ricorda all’Occidente un diritto dimenticato

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Da Baghdad a Beirut, i giovani del mondo arabo protestano chiedendo un cambiamento. L’Europa non se ne è accorta. Eppure le piazze di Beirut e Baghdad testimoniano che esiste una società in ebollizione che chiede le stesse riforme che nel 2010-2011 sono state rivendicate da altri giovani: la fine della partitocrazia clientelare, dove un gruppo di potere gestisce un paese in maniera mafiosa; una migliore qualità della vita, intesa come migliori servizi e diritti; una cittadinanza inclusiva, ponendo fine alla strumentalizzazione di qualsiasi differenza religiosa, per fare leva sui consensi; e, cosa più importante, questa società fatta da giovani donne e uomini chiede un futuro che non sia più dominato dal pessimismo.

Proprio a Beirut, dove centinaia di migliaia di manifestanti continuano a occupare le piazze, domandando “la fine del regime” – ripetendo proprio quello slogan diventato famoso durante le primavere arabe -, quasi quindici anni fa Samir Kassir, intellettuale libanese, veniva barbaramente ucciso, non prima di aver prodotto delle “riflessioni sul malessere arabo”. Una patologia nata da un impasse, una stagnazione delle cose che aveva creato nella società una visione fatalista del futuro. Questa impossibilità del cambiamento è stata messa però in discussione dal 2010.

Il prezzo sono stati centinaia di migliaia di morti e milioni di rifugiati. Da questa ecatombe, in soccorso dei regimi, è nato l’Isis. Non è infatti vero che è stata proprio la lotta al terrorismo a essere la bandiera che ha riportato alla restaurazione di molti regimi genocidi? Non sono proprio questi che hanno attratto le simpatie d’Occidente grazie alla lotta al terrorismo? E in cambio cosa hanno ottenuto? Il silenzio, in primis europeo, riguardo alle carceri stracolme di dissidenti.

La contropartita per l’Europa è stata quella di calmare la propria paura verso l’altro, in questo caso l’arabo, meglio ancora se musulmano. Uno dei risultati del ripristino dello status quo in Medioriente sono state le file di fronte alle ambasciate per richiedere un visto verso il paradiso Occidente. Il timbro rosso, con la scritta “negato”, ha spinto molti a intraprendere un viaggio mettendo a rischio la propria vita. Il simbolo più vivido sono i barconi in fondo al mare: la ricerca della realizzazione nell’altrove, in quanto impossibilitati a trovarla a casa propria.

Ecco, i libanesi in piazza ci ricordano che esiste un diritto del quale ci siamo dimenticati: quello alla felicità.

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