Tra le proposte dei vescovi, che il Pontefice è chiamato a tradurre in disposizioni ufficiali, ci sono il riconoscimento della “ministerialità che Gesù ha riservato alle donne”, una commissione che elabori un "rito amazzonico" e la definizione di un nuovo peccato: quello compiuto "contro le generazioni future" con "atti e abitudini di inquinamento e distruzione dell’armonia e dell’ambiente"
Sarà Papa Francesco a stabilire se e come recepire l’apertura ai preti sposati fatta dal Sinodo speciale dei vescovi sull’Amazzonia. Bergoglio ha già annunciato che spera di pubblicare entro il 2019 la sua esortazione apostolica post sinodale, documento nel quale comunicherà le sue decisioni in merito al documento finale approvato dal Sinodo con la maggioranza dei due terzi richiesta. I vescovi hanno chiesto al Pontefice “di stabilire criteri e disposizioni” “per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica”. Da evidenziare, inoltre, che su questa proposta “alcuni si sono espressi a favore di un approccio universale all’argomento”.
Toccherà quindi ora a Bergoglio non solo recepire questa indicazione, ma anche tradurla in norme canoniche. E stabilire se essa varrà soltanto per la regione amazzonica, oppure se anche altre realtà nel mondo cattolico potranno adottare questa strada per sopperire alla mancanza di clero. I tempi, dunque, secondo quanto ha annunciato lo stesso Francesco al termine del Sinodo, non dovrebbero essere lunghi e già nel 2020 ci potrebbero essere in Amazzonia diaconi permanenti ordinati preti. Una decisione che non è piaciuta a tutti i più stretti collaboratori di Bergoglio. Un porporato capo dicastero a ilfattoquotidiano.it ha commentato che “chiaramente il Sinodo è stato strumentale, anche nelle intenzioni. Abbiamo fatto un Sinodo sui popoli dell’Amazzonia, che sono i primi a respingere il cristianesimo, e non un Sinodo, per esempio, sui cristiani del Medio Oriente che sono sempre respinti a causa del cristianesimo”.
Ma le decisioni dei padri sinodali toccano anche molti altri temi. Se da un lato è stata chiusa la porta, almeno per il momento, al diaconato femminile, dall’altro vi è, però, il riconoscimento della “ministerialità che Gesù ha riservato alle donne”. Da qui la richiesta “affinché anche donne adeguatamente formate e preparate possano ricevere i ministeri del lettorato e dell’accolitato, tra gli altri che possono essere svolti. Nei nuovi contesti di evangelizzazione e di pastorale in Amazzonia, dove la maggior parte delle comunità cattoliche sono guidate da donne, chiediamo che venga creato il ministero istituito di ‘donna dirigente di comunità’, dando ad esso un riconoscimento, nel servizio delle mutevoli esigente di evangelizzazione e di attenzione alla comunità”.
“Il nuovo organismo della Chiesa in Amazzonia – si legge nel documento finale – deve costituire una commissione competente per studiare e dialogare, secondo gli usi e i costumi dei popoli ancestrali, l’elaborazione di un rito amazzonico che esprima il patrimonio liturgico, teologico, disciplinare e spirituale dell’Amazzonia, con particolare riferimento a quanto afferma la Lumen gentium per le Chiese orientali. Questo – spiegano i padri sinodali – si aggiungerebbe ai riti già presenti nella Chiesa, arricchendo l’opera di evangelizzazione, la capacità di esprimere la fede in una cultura propria, il senso di decentralizzazione e di collegialità che la cattolicità della Chiesa può esprimere; si potrebbe anche studiare e proporre come arricchire i riti ecclesiali con il modo in cui questi popoli si prendono cura del loro territorio e si relazionano con le sue acque”.
Un’altra proposta è quella di “creare un osservatorio pastorale socio-ambientale, rafforzando la lotta per la difesa della vita. Effettuare una diagnosi del territorio e dei suoi conflitti socio-ambientali in ogni Chiesa locale e regionale, per poter assumere una posizione, prendere decisioni e difendere i diritti dei più vulnerabili”. “Come modo per riparare il debito ecologico che i paesi hanno con l’Amazzonia, – si legge ancora nel documento finale – proponiamo la creazione di un fondo mondiale per coprire parte dei bilanci delle comunità presenti in Amazzonia che promuovono il loro sviluppo integrale e autosostenibile e, quindi, anche per proteggerle dal desiderio predatorio di aziende nazionali e multinazionali di estrarre le loro risorse naturali”.
“Proponiamo – affermano ancora i padri sinodali – di definire il peccato ecologico come un’azione o un’omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l’ambiente. È un peccato contro le generazioni future e si manifesta in atti e abitudini di inquinamento e distruzione dell’armonia e dell’ambiente, trasgressioni contro i principi di interdipendenza e rottura delle reti di solidarietà tra le creature e contro la virtù della giustizia. Proponiamo anche di creare ministeri speciali per la cura della ‘casa comune’ e la promozione dell’ecologia integrale a livello parrocchiale e in ogni giurisdizione ecclesiastica, che abbiano tra le loro funzioni la cura del territorio e delle acque, nonché la promozione dell’enciclica Laudato si’”.
Infine, un’ulteriore denuncia: “È scandaloso che i leader e persino le comunità siano criminalizzati solo per aver rivendicato i loro propri diritti. In tutti i paesi amazzonici esistono leggi che riconoscono i diritti umani, specialmente quelli delle popolazioni indigene. Negli ultimi anni, la regione amazzonica ha subito complesse trasformazioni, in cui i diritti umani delle comunità sono stati colpiti da norme, politiche pubbliche e pratiche incentrate principalmente sull’espansione delle frontiere estrattive delle risorse naturali e sullo sviluppo di megaprogetti infrastrutturali, che esercitano pressioni sui territori ancestrali indigeni”. Da qui anche un monito alla Chiesa: “Siamo tutti invitati ad avvicinarci ai popoli amazzonici su un piano di parità, rispettando la loro storia, le loro culture, il loro stile di ‘buon vivere’. Il colonialismo è l’imposizione di certi modi di vita di alcuni popoli su altri, siano a livello economico, culturale o religioso. Rifiutiamo un’evangelizzazione in stile colonialista”.
Twitter: @FrancescoGrana