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Brexit, Tusk: “I 27 Paesi Ue hanno accettato il rinvio fino al 31 gennaio 2020”. Ma Johnson punta alle elezioni il 12 dicembre

Per fare ciò, l'inquilino del 10 di Downing Street riproporrà lunedì pomeriggio una mozione per cercare di ottenere il via libera allo scioglimento della Camera dei Comuni il 6 novembre e indire quindi le elezioni per metà dicembre, al fine di rompere l'impasse parlamentare sulla Brexit che si protrae dal mandato di Theresa May

I 27 Paesi membri dell’Unione, esclusa la Gran Bretagna, hanno aperto a un ulteriore rinvio della Brexit. Lo ha annunciato su Twitter il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, scrivendo: “I 27 Paesi Ue hanno deciso di accettare la richiesta del Regno Unito di una flextension fino al 31 gennaio 2020. La decisione sarà formalizzata con una procedura scritta”. Una risposta che arriva in seguito alla richiesta, obbligata dalla nuova legge anti no deal, inviata il 20 ottobre dal premier Boris Johnson che, però, punta al voto anticipato il 12 dicembre.

Per fare ciò, l’inquilino del 10 di Downing Street riproporrà lunedì pomeriggio una mozione per cercare di ottenere il via libera allo scioglimento della Camera dei Comuni il 6 novembre e indire quindi le elezioni per metà dicembre, al fine di rompere l’impasse parlamentare sulla Brexit che si protrae dal mandato di Theresa May.

Al momento, però, Johnson non ha il quorum dei due terzi per farla passare: gli servono i voti dell’opposizione laburista, il cui leader Jeremy Corbyn ha chiesto come condizione l’impegno a escludere un no deal anche per il futuro. Un epilogo che una proroga della Brexit può al momento allontanare solo a termine. Altri due partiti di opposizione, LibDem e indipendentisti scozzesi, hanno intanto offerto una via alternativa per le elezioni: con legge ordinaria, da approvare entro giovedì e per la quale basterebbe la maggioranza semplice, ma con le urne convocate il 9 dicembre, non il 12, e senza lasciare tempo al governo fino al 6 novembre per un ultimo tentativo pre elettorale di far ratificare a Westminster l’accordo di divorzio raggiunto dalla maggioranza Tory.