Giuseppe Conte affronta in prima persona il caso Fiber 4.0. La questione “è stata affrontata anche dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – afferma in una nota il presidente del Consiglio, dopo che la notte scorsa a respingere le accuse era stato Palazzo Chigi – Ho fornito all’autorità tutte le informazioni richieste” e “con lettera del 24 gennaio 2019, il Segretario Generale dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato comunicava che, alla luce dei riscontri da me offerti, ‘l’Autorità, nella sua adunanza del 23 gennaio 2019, ha ritenuto di non avviare alcun procedimento, non ritenendo sussistenti i presupposti per l’applicazione della legge'”.
“Ho fornito all’autorità tutte le informazioni richieste, unitamente ai necessari riscontri documentali, dimostrando in particolar modo la mia astensione (formale e sostanziale) a qualsiasi decisione relativa a Retelit, e ribadendo di non aver mai conosciuto o avuto contatti con i vertici societari di Fiber 4.0 (e specificamente con il sig. Mincione)”, spiega il presidente del Consiglio che conclude: “Confido che questi chiarimenti consentano di dissipare qualsiasi dubbio sulla mia persona quanto a presunti conflitti di interesse o a legami con il fondo di investimento indagato in Vaticano”.
IL CASO – Il 27 ottobre il Financial Times ha scritto che “un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano al centro di un’indagine sulla corruzione finanziaria era alla base di un gruppo di investitori che assunse Giuseppe Conte per lavorare su un accordo perseguito poche settimane prima che assumesse la carica”. “Il collegamento con Conte rivelato in documenti esaminati dal Financial Times – si legge nell’articolo di Miles Johnson – probabilmente attirerà un ulteriore esame sull’attività finanziaria del Segretariato di Stato vaticano, la potente burocrazia centrale della Santa Sede, che è oggetto di un’indagine interna su transazioni finanziarie sospette”.
L’autore dell’articolo ricostruiva la vicenda, di cui si era già parlato nel 2018 anche in Italia. “Conte era un accademico di Firenze poco conosciuto quando è stato assunto a maggio 2018 per fornire un parere legale a favore di Fiber 4.0, un gruppo di azionisti coinvolto in una lotta per il controllo di Retelit, società italiana di telecomunicazioni. L’investitore principale in Fiber 4.0 è stato l’Athena Global Opportunities Fund, finanziato interamente per 200 milioni di dollari dal Segretariato Vaticano, gestito e posseduto da Raffaele Mincione, un finanziere italiano”. In quel periodo il fondo “era impegnato in una battaglia per il controllo della compagnia di Retelit. Tuttavia, non ne ottenne il controllo perché gli azionisti preferirono due investitori stranieri”. Cioé la tedesca Shareholder Value Management e la compagnia di telecomunicazioni libica Lybian post telecommunications.
Il secondo consiglio dei ministri del governo Conte, a inizio giugno 2018, decise di esercitare la “golden power” sulla modifica della governance di Retelit spa. A Palazzo Chigi il premier era assente, impegnato al G7. Ma già allora fu sollevato un problema di opportunità, perché, appunto, Conte aveva fatto poche settimane prima la consulenza. Il parere pro veritate del giurista Conte per Retelit nel mese di maggio 2018, poche settimane prima di accettare la guida del governo gialloverde, era quindi una vicenda nota e raccontata in diversi articoli dal Fatto Quotidiano: il futuro premier aveva consegnato questo parere il 14 maggio. E aveva scritto che l’obbligo di notifica a Palazzo Chigi c’era: “In casi eccezionali di rischio (…) – sottolineava – il governo può opporsi, sulla base della stessa procedura, all’acquisto” di Retelit. E Conte, nel giro di poche settimane, assunse la guida del governo che aveva esercitato i poteri speciali.