L’indagine finanziaria che ha scosso la Segreteria di Stato vaticana sconfina nei palazzi della politica italiana. Ha fatto molto scalpore la notizia, data dal Financial Times, che il fondo di investimenti per cui fece una consulenza legale Giuseppe Conte una settimana prima di diventare premier è sotto indagine in Vaticano. Si tratta dell’inchiesta, voluta dai pm vaticani Gian Piero Milano e Alessandro Diddi e autorizzata da Papa Francesco, iniziata con le “denunce presentate agli inizi della scorsa estate dall’Istituto per le Opere di Religione e dall’ufficio del revisore generale, riguardanti operazioni finanziarie compiute nel tempo”, come ha precisato la Santa Sede. Un’indagine che ha visto la sospensione dal lavoro di cinque dirigenti vaticani: quattro, tra i quali un prelato, monsignor Mauro Carlino, della prima sezione della Segreteria Stato, mentre il quinto è il direttore dell’Autorità d’Informazione Finanziaria del Vaticano, Tommaso Di Ruzza, genero dell’ex governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio.
Al centro delle indagini ci sono alcune compravendite immobiliari milionarie all’estero, in particolare per immobili di pregio a Londra, e alcune società inglesi che avrebbero partecipato al business. Ed è qui che entra in scena Giuseppe Conte. Il legame tra il futuro premier e l’investimento del Vaticano nella capitale britannica è proprio il fondo che ha realizzato l’operazione, Athena Global Opportunities, gestito dal finanziere Raffaele Mincione. La Segreteria di Stato, infatti, era l’unico investitore del fondo Athena con 200 milioni di dollari. Conte emise un parere giuridico per Fiber 4.0, una cordata di azionisti di Retelit di cui Athena aveva il 40%, secondo il quale il voto dell’assemblea dei soci sulla nomina del consiglio di amministrazione avrebbe potuto essere impugnato dal governo usando il “golden power”, cioè un potere di intervento dell’esecutivo su società considerate strategiche. Vicenda già ampiamente raccontata dal Fatto Quotidiano.
Fonti della Santa Sede a ilfattoquotidiano.it sottolineano che quello di Conte fu “semplicemente un parere legale” e definiscono “pretestuoso il suo coinvolgimento”. C’è da dire che per ora l’inchiesta dei pm vaticani sta cercando di chiarire le operazioni immobiliari effettuate dalla Segreteria di Stato nell’ultimo anno. Al momento, in difesa di Di Ruzza si è pronunciato l’intero organismo da lui diretto. In un comunicato diffuso dalla Sala Stampa della Santa Sede, l’Autorità d’Informazione Finanziaria ha affermato che “la ricerca, che ha portato al sequestro di determinati documenti e fascicoli, è connessa ad un’attività istituzionale in corso svolta dall’Aif sulla base di un rapporto di attività sospette che coinvolge diverse giurisdizioni straniere. Immediatamente dopo questi eventi, il presidente dell’Aif, René Brülhart, dopo aver consultato i membri del consiglio direttivo, ha avviato un’indagine interna per comprendere a fondo l’attività operazionale dell’Aif interessata. Sulla base di tale indagine interna, il consiglio direttivo ha stabilito: in primo luogo, che l’attività svolta dall’Aif e dal suo direttore era di natura strettamente istituzionale e condotta in conformità con lo statuto dell’Aif. In secondo luogo, che nell’esercizio della sua funzione istituzionale, né il direttore né alcun altro dipendente dell’Aif hanno svolto in maniera inadeguata la propria funzione o tenuto qualsiasi altra condotta impropria”.
“Di conseguenza, – si legge ancora nella nota – il consiglio direttivo ribadisce la sua piena fiducia nella competenza professionale e onorabilità del suo direttore e, inoltre, lo elogia per l’attività istituzionale svolta nella gestione del caso in questione. Poiché l’Aif continua a svolgere le sue attività operazionali a livello nazionale e internazionale, rimane pienamente cooperativo con le autorità competenti. Il consiglio direttivo è fiducioso che le potenziali incomprensioni saranno presto chiarite”. Un ulteriore segno eloquente che quello che è in atto in Vaticano è uno scontro di poteri. In questa vicenda, la prima testa a cadere è stata quella del comandante della Gendarmeria Vaticana, Domenico Giani, che ha rassegnato le dimissioni dopo la fuga di notizie sui cinque dirigenti della Santa Sede sospesi. Ora questo scontro rischia di coinvolgere anche la politica italiana.
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