Si era detto in agosto che, rinviando il redde rationem elettorale, un governo M5S-Pd poteva offrire un’opportunità a due partiti in crisi per ripensarsi, confrontarsi e rilanciarsi. Ma poteva anche essere il miglior modo per alimentare la valanga salviniana già in movimento. Il risultato elettorale in Umbria chiarisce, senza lasciar adito a dubbi, che il secondo scenario si sta verificando.

Il governo non ha fatto fin qui grossi errori. Lo spread è sceso, l’Iva non è salita, non ci sono nuovo scandali, la litigiosità è a livelli fisiologici; e Zingaretti, “l’uomo che ascolta”, ha limitato la tradizionale arroganza dei nostri politici. La sensazione trasmessa al paese è tranquillizzante: c’è un governo che governa. Francamente non ci si poteva aspettare di più. Ed allora, come spiegare la continua frana del Pd (dal 24,8% delle Politiche, al 24% delle Europee, al 22,4% di oggi), e quella più recente ma più violenta (dal 27,5% al 14,7%, fino all’8% attuale) del M5S?

La gente sta male. Alcuni soffrono economicamente. In Umbria la disoccupazione oscilla intorno o sopra al 10% dal 2012, da troppo tempo: le riserve dei meno fortunati sono finite. La Regione non ha mai superato la crisi del 2011-12; la stessa situazione di molte altre parti d’Italia. Altri stanno male solo psicologicamente, perché la depressione blocca i sogni e mortifica le speranze, motori della vita. Tutti si rendono conto che l’Italia viaggia molto al di sotto del suo potenziale; non del potenziale astratto “se fossimo tutti svizzeri”, ma del potenziale concreto degli italiani come sono. Ben al di là dei tanti fallimenti micro del nostro malcostume italiano, sempre sottolineati da flagellatori ubiqui, il fallimento vero è quello del coordinamento generale, è quello macroeconomico, è dunque politico.

La gente ha avuto pazienza, ma ora e non da ora chiede un cambio di paradigma. Non una bacchetta magica che ci trasformi in ordinati svedesi, ma una strategia sistemica che consenta agli italiani come sono – di lavorare tutti, di pagare i debiti, e di progettare il futuro. La gente vuole capire, controllare, partecipare, sperimentare, e se non va… cambiare. L’alta partecipazione al voto umbro lo conferma.

Ma il Pd continua con lo stesso paradigma. Prova a migliorarlo, non a sostituirlo. La gente ha votato NO al referendum semi-autoritario di Renzi? Il Pd ripropone (sommessamente) prospettive istituzionali simili. In economia l’euro vieta qualunque azione (non solo quelle sconsiderate di Borghi) utile al rilancio macroeconomico? Il Pd si rifiuta di aprire un dibattito sulla natura e le conseguenze dell’euro, e sulle possibili opzioni. La forma partito è antiquata? Zingaretti si muove nella direzione giusta (i circoli on line), ma troppo cautamente. Gli intellettuali e i leader sociali vogliono contare, la base vuole partecipare alle decisioni del partito: non c’è motivo perché non lo si faccia.

I dirigenti del Pd sono convinti che se rinunciano ai paradigmi vigenti rinunciano ai valori “non negoziabili” della sinistra. Ad esempio: promuovere istituzioni più liberali e partecipate la chiamano “deriva populista”; il modello “non disturbate il manovratore” lo chiamano “governabilità”. Così è per l’euro: ha messo in crisi l’Europa, ma loro non possono immaginare un europeismo senza euro. Così è per la democrazia nel Pd, basata sulla filosofia delle liste bloccate: una partecipazione formale e coreografica. Ecc. Nel 1933, in un’epoca per molti versi simile alla nostra, Franklin Delano Roosvelt seppe proporre un nuovo paradigma economico, adeguato a quella situazione; ma nel Pd il ferreo controllo dei capi corrente impedisce l’insorgere di un moderno FDR.

Quanto al M5S, precipita nei sondaggi da quando ha rinunciato a mettere in discussione l’Euro. Il messaggio subliminale arrivato alla gente è che il M5S ha rinunciato al cambio di paradigma. Perché è troppo difficile, perché hanno scherzato, non importa. Ma pochi elettori M5S sono disinteressati al cambio di paradigma: perciò il crollo è stato molto più violento del Pd.

La gente non ha sempre chiari i paradigmi possibili, ma valuta le proposte. Salvini propone l’Uomo forte e la lotta fra poveri (fra te e i migranti scelgo te): mediocre ma pur sempre una soluzione. Mentre la sinistra non presenta ancora la sua linea naturale: entrano in pochi, selezionati in funzione dei nostri bisogni, con diritti e tutele crescenti, ma noi investiamo nella loro integrazione (e impegno umanitario a favore di tutti).

Che fare, di fronte al voto umbro? Per respingere la destra, ci vogliono dei congressi a tesi, aperti ai sostenitori qualificati dei “nuovi paradigmi” (sulle istituzioni, l’economia, la vita nei partiti, le migrazioni, l’ambiente). Per scegliere con nettezza. È difficile e ci vuole coraggio. Alternativamente, si può decidere che “gli elettori sbagliano” e resistere tre anni, eleggere un buon Presidente della Repubblica, rafforzare qualche argine costituzionale, e poi nel 2023 consegnare alle destre un Paese sulla linea di galleggiamento.

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