“La democrazia è una scusa per fondare giornali”, ripete Longanesi dallo spot di un nuovo quotidiano. Io aggiungerei: anche per venderli e fare ascolti tv, a vedere l’incomprensibile delirio mediatico per le elezioni regionali umbre, che hanno riguardato – dati definitivi di affluenza – circa 450mila elettori, poco più degli abitanti di Bologna. Con tutto il rispetto per gli umbri che si sono recati al voto (in crescita rispetto alle scorse regionali), questo sarebbe un test nazionale capace di far tremare il governo? Non esageriamo!

La cosa certamente più edificante di queste elezioni è stato il rispetto, il fair play manifestato dai due sfidanti, che si sono inviati anche un reciproco incoraggiamento: una lezione di civiltà istituzionale, rispetto ai toni sguaiati dei rispettivi schieramenti. Dopodiché è andata com’era prevedibile che andasse, dopo lo scandalo sanità che ha travolto il Pd e il balletto vergognoso sulle dimissioni dell’ex governatrice Catiuscia Marini; dopo le Elezioni europee che già avevano incoronato il centrodestra (Lega, Fratelli D’Italia e Forza Italia erano oltre il 51%) e il governo a traino leghista del 62% delle amministrazioni locali umbre; e dopo un’unione a freddo Pd-5S, che non poteva non essere mal digerita da elettori che fino a ieri se ne sono dette di tutti i colori.

Un’alleanza che, al governo, è stata una sorta di matrimonio riparatore, dopo la fuga di Matteo Salvini per non dover pagare il conto della manovra: ma dopo appena due mesi di rapporto (siamo ancora ai preliminari) e una situazione appunto così particolare come quella umbra, perché questa bocciatura dovrebbe condizionare l’azione di governo?

Altra cosa sono invece i ricaschi di questo risultato sui singoli leader e le singole forze politiche. E’ indubbio che questo voto segni una vittoria di Salvini ma, al di là del trionfalismo, la sua Lega perde un punto rispetto alle Europee (dal 38,2 al 37%) e la vera vincitrice è in realtà Giorgia Meloni, che riesce a doppiare FI (10,4% a 5,5%). L’indubbio sconfitto è invece Luigi Di Maio: il “patto civico” col Pd in Umbria ha fatto più male ai 5S che ai dem, visto che si dimezzano rispetto alle Europee (dal 14,6% al 7,4, dopo essere stati primo partito regionale alle politiche 2018), mentre il partito di Nicola Zingaretti riesce a frenare la caduta dal 24% delle Europee al 22,3 di oggi. Se Di Maio aveva bisogno di tamponare i malesseri interni e riaffermare la sua leadership, certo questo voto non lo aiuta. Anzi.

E poi c’è Lui, “l’uomo che non c’era” nella foto di Narni del governo giallorosso: Matteo Renzi. Come da premier evitava disoccupati e truffati dalle banche e preferiva tagliare i nastri delle (poche) aziende che aprivano, così non ha voluto mettere la faccia sulla probabile sconfitta. In questi giorni ha detto di non voler “staccare la spina” al governo, così da poter continuare a dare scosse… E fare, con la sua Italia Viva, da ago della bilancia. Ma per il momento, a vedere i sondaggi, è un ago Pic indolor.

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