L’assessore regionale alla Sicurezza, Fabrizio Ricca, propone il nuovo disegno di legge “Norme in materia di regolamentazione del nomadismo e di contrasto all’abusivismo” attraverso il quale la Regione Piemonte, prima in Italia, pone le basi per il definitivo superamento del concetto di “campo stanziale”. La cosiddetta “rivoluzione” piemontese, tralasciando gli eventuali aspetti discriminatori del disegno di legge, consiste in due tarocchi e in un danno mortale per qualunque progetto di inclusione sociale e per un effettivo superamento dei cosiddetti “campi nomadi”.
Il primo è la scoperta dell’acqua calda: i campi sosta ci sono sempre stati per le comunità zigane itineranti, come i giostrai, e avevano la caratteristica di rendere regolari soste provvisorie. Il secondo tarocco, ed è il più gravido di conseguenze negative è che rom e sinti siano dei nomadi, come i tuareg, ecc. Tutti sanno, o almeno quelli che se ne occupano dovrebbero sapere che rom e sinti è vero che sono venuti dalla lontana India, ma che le comunità itineranti riguardano pochi gruppi ben individuati – i sinti dello spettacolo viaggiante e i Caminanti siciliani – : tutti gli altri sono cittadini che vivevano e vivono in condizioni di stanzialità.
L’invenzione del “campo nomadi” è stato il frutto delle istituzioni che hanno pensato di risolvere in questo modo un problema di convivenza, allontanando dal contesto urbano una popolazione tradizionalmente stigmatizzata. Le conseguenze di una simile legge, con l’assunto che si superano i campi stanziali rendendo nomadi coloro che non lo sono mai stati, sono funeste per rom e sinti, ma anche per la stessa comunità. Pensare di sostituire i “campi nomadi” con i “campi sosta” vuol semplicemente dire che d’ora in poi la condizione di irregolarità viene resa permanente e coatta da una legge che non consente più alcuna stabilizzazione e il possibile inserimento sociale.
Basta considerare il punto che riguarda la scuola: i bambini iscritti potranno finire l’anno scolastico poi potranno felicemente tornare a “nomadare” – come dice chi di rom e sinti non capisce nulla tranne che sono utili per raccattare il voto dell’odio. Questo significa cancellare in radice il futuro di questi bambini, condannati per legge a vagare di posto in posto, anno dopo anno vivendo una costante condizione di diversità ed esclusione. Solo questo rende questa proposta inaccettabile anche per quanto riguarda il diritto alle pari opportunità dei cittadini sancito dalla nostra Costituzione, che dovrebbe essere anche quella dei proponenti la legge.
A cui vanno aggiunte alcune domande non marginali: tutti i “nuovi nomadi” perderanno l’attuale residenza che vuol dire tutti i servizi (dal pediatra alla domanda fatta per la casa popolare) e quindi che stato di cittadinanza avranno? Chi non è nomade e non ha i mezzi per diventarlo (camper, roulotte) cosa deve fare, comprarsi una tenda al supermarket? D’ora innanzi si potranno avere solo lavori che durano il tempo della sosta: e chi ne ha uno lo deve perdere? È questo il modello per superare la marginalità e l’irregolarità?
La Regione Piemonte, come le altre regioni, avrebbe invece dovuto applicare le norme previste dalla Strategia nazionale inclusione rom, sinti e caminanti, approvata nel 2012 dal governo italiano nella quale sono indicati chiaramente modi e forme per l’inclusione e nella quale, alla voce abitare, si indicano i percorsi per superare il “campo nomadi”, dall’inserimento nell’edilizia popolare, all’autocostruzione, alla costituzione di microaree per gruppi monofamiliare. Tutte forme di stabilizzazione, unica e vera condizione di inserimento sociale possibile nel rispetto dei diritti e dei doveri di ogni cittadino che sia rom, sinto o no.
Infine, l’assessore afferma che “con questa legge ci lasciamo alle spalle i tanti problemi di convivenza che ogni giorno ci vengono denunciati dai cittadini che vivono vicino agli insediamenti nomadi che esistono oggi, troppo spesso tendenti a gravitare intorno a fenomeni di abusivismo poco vigilati”. Purtroppo per lui non ci vuole molta fantasia per capire che l’effetto sarebbe esattamente l’opposto.
Così come i reiterati sgomberi dei campi spontanei senza alcuna soluzione alternativa non hanno fatto altro che aumentare la fragilità e il degrado delle comunità coinvolte (perdita dei percorsi scolastici, delle relazioni sociali, delle opportunità di lavoro), moltiplicando di conseguenza irregolarità e insicurezza, lo stesso risultato si otterrà rendendo “nomade” chi non lo è. A meno che questo non sia l’obbiettivo nascosto del progetto. Abbiamo sempre pensato che in fondo nessuno vuole veramente risolvere la cosiddetta “questione nomadi”, perché serve a chi pensa che avere un nemico da odiare faccia bene alla sua fortuna politica. E cosa c’è di meglio dello “zingaro”?