Per oltre un anno l’unico treno di Rete ferroviaria italiana capace di “guardare” dentro i binari grazie agli ultrasuoni – e trovare piccole crepe in grado col tempo e il passaggio dei treni di generare una rottura – è rimasto fermo per un guasto e i vertici della società non hanno provveduto alla sua sostituzione né ha disposto che i ‘controllori’ delle linee utilizzassero, durante le loro ispezioni, apparecchiature manuali per comprendere lo stato di salute dell’infrastruttura. È una delle accuse che la procura di Milano contesta ai vertici della società che gestisce di tutta la rete ferroviaria italiana nell’inchiesta per il disastro ferroviario di Pioltello, dove il 25 gennaio 2018 morirono 3 persone e si contarono decine di feriti, causati dalla rottura di un giunto tra due binari definito dai magistrati in “pessime condizioni”.

Ad omettere l’utilizzo di “strumenti idonei a fini di diagnostica”, secondo l’accusa, sono stati tre dei dodici indagati: l’amministratore delegato Maurizio Gentile, il direttore della Direzione Produzione, Umberto Lebruto, e il dirigente della Struttura organizzativa Marco Gallini. Sono loro – si legge nell’avviso di conclusione delle indagini firmato dai pm Maura Ripamonti e Leonardo Lesti, coordinati dall’aggiunto Tiziana Siciliano – che avrebbero potuto far si che si utilizzassero “apparecchiature ad ultrasuoni in grado di individuare eventuali cricche interne” ai giunti, “da utilizzarsi con cadenza ciclica e dimezzata rispetto all’ordinario, secondo la regolarità stabilita dalle procedure interne di Rfi” nel caso di giunti “per i quali fossero state accertate visivamente condizioni di criticità”.

Invece non disposero ai Dipartimenti territoriali di utilizzare almeno degli apparecchi “manuali”, anche se era indisponibile “l’unico treno diagnostico in uso ad Rfi Spa per l’intera rete nazionale”, ovvero il Galileo, “risalente al 1997”, fanno notare i pm. Il Galileo, si scopre nelle carte, era “fermo per guasto dalla seconda metà del 2016″, cioè oltre un anno prima del deragliamento di Pioltello, “e mai riparatosostituito con altro treno o – più opportunamente – con altri treni aventi le medesime caratteristiche, od anche superiori considerata l’importante evoluzione della tecnica”. Lo avrebbero potuto “acquistare” o “noleggiare” in attesa “del ripristino di Galileo” o “dell’acquisto di nuovi treni con analoga funzione”.

Nulla di tutto ciò venne fatto. E per di più, sottolineano i pubblici ministeri, lasciarono che per i controlli sui giunti “visibilmente interessati da criticità” venissero utilizzati “ultrasuoni tarati per rilevare cricche (delle micro-fratture, ndr) di lunghezza non inferiore a 5 millimetri, nonostante la possibilità tecnica di rilevare cricche fino a 2 millimetri”. Non solo: i dirigenti di Rfi, sempre secondo la procura, mantennero “procedure operative interne” che “prescrivevano interventi di sostituzione” dei giunti “solo per le cricche superiori ai 30 millimetri nonostante la sussistenza di rischio di rottura già in presenza di cricca di lunghezza superiore ai 10 millimetri”.

Oltretutto, aggiunge la procura, l’ad Gentile, nonostante i “frequenti e ripetuti episodi di rotture” dei giunti in “tutto il territorio nazionale”, non dispose “misure contenitive del rischio” come la riduzione di velocità dei treni in attesa degli interventi di manutenzione né fece in modo che “fossero intensificate le attività ispettive sull’infrastruttura”, in particolare sui giunti, “e fosse assicurata la rapida sostituzione di tutte le parti ammalorate o comunque a rischio rottura”. Da tutta questa catena di omissioni, sempre secondo i pm, avrebbe tratto “vantaggio” Rete ferroviaria italiana “in particolare consistito nel risparmio derivante dalla mancata tempestiva attività di manutenzione” dell’infrastruttura “e dalla mancata tempestiva adozione dei dispositivi di sicurezza e di strumenti ed attrezzature idonei ad impedire” il deragliamento in cui persero la vita 3 persone.

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