Il colonnello Alexander Vindman, veterano decorato della guerra in Iraq e massimo esperto di Ucraina del National Security Council, secondo la bozza della sua deposizione pubblicata dal Washington Post, rimarcherà quanto le richieste di Trump fossero "inappropriate", "fuori dal senso del dovere" e di averlo segnalato due volte ai suoi superiori
C’è una prima voce dalla Casa Bianca che, nonostante la diffida della presidenza, ha deciso di testimoniare riguardo alle presunte pressioni di Donald Trump sull’omologo ucraino Volodymyr Zelensky che hanno scatenato il cosiddetto Kievgate e dato il via all’indagine di impeachment. Il colonnello Alexander Vindman, veterano decorato della guerra in Iraq e massimo esperto di Ucraina del National Security Council, ha infatti iniziato a deporre alla Camera. E stando alla bozza circolata sui media, il militare ha intenzione di rimarcare quanto le richieste di Trump fossero “inappropriate”, “fuori dal senso del dovere” e di averlo segnalato due volte ai suoi superiori.
“Non pensavo che fosse corretto chiedere a un governo straniero di indagare un cittadino Usa e io ero preoccupato dalle conseguenze per il sostegno del governo americano all’Ucraina”, è scritto, secondo il Washington Post, nella bozza di intervento di Vindman, primo a testimoniare del ristretto gruppo di funzionari della Casa Bianca che assistettero il 25 luglio alla telefonata tra Trump e Zelensky. Proprio la sua partecipazione diretta al colloquio rende le sue parole di particolare valore per le indagini.
La testimonianza di Vindman, che ha dichiarato di non essere lui la seconda talpa con informazioni di prima mano pronta a testimoniare, potrebbe essere compromettente anche per l’ambasciatore Usa presso l’Unione europea, Gordon Sondland, dal momento che il tenente colonnello ricorda un incontro del 10 luglio in cui il diplomatico, ricco proprietario di una catena di alberghi e grande donatore di Trump, gli disse esplicitamente che per ottenere un incontro con il presidente gli ucraini dovevano “avviare le inchieste relative alle elezioni del 2016 su Biden e Burisma“. “Risposi all’ambasciatore che queste dichiarazioni erano inappropriate e che la richiesta di indagare Biden e suo figlio non avevano nulla a che vedere con la sicurezza nazionale”, si legge ancora nella dichiarazione di Vidman che sottolinea come pressioni in questo senso “avrebbero messo a rischio la sicurezza nazionale” dal momento che “un’Ucraina forte e indipendente è importante per i nostri interessi di sicurezza perché l’Ucraina è uno stato di frontiera e argine contro l’aggressione russa”.
La diffida della Casa Bianca
La testimonianza di Vindman arriva nonostante la diffida inviata dalla Casa Bianca a diversi funzionari, come dimostra anche la lettera, pubblicata da New York Times, ricevuta da Laura Cooper, dirigente del Pentagono,che il dipartimento della Difesa ha esortato a non testimoniare al Congresso nell’indagine di impeachment. Nella lettera si sostengono due tesi. La prima è che l’indagine è illegittima in quanto non è stata votata dalla Camera in seduta plenaria. La seconda è che la testimonianza viene acquisita senza la presenza di un legale del dipartimento, considerata essenziale per valutare cosa è coperto dal privilegio esecutivo. Nonostante la lettera, Cooper ha deposto ugualmente alla Camera.
Anche l’ambasciatore americano a Kiev, Bill Taylor, nei giorni scorsi ha fornito la sua ricostruzione della vicenda. Taylor, che ha assunto l’incarico a giugno, ha parlato a porte chiuse a Capitol Hill ma copie delle sue dichiarazioni iniziali sono iniziate subito a circolare. Il diplomatico ha raccontato che, poco dopo essere arrivato a Kiev, ha avvertito con preoccupazione il fatto che “la nostra relazione con l’Ucraina veniva fondamentalmente minata da un canale decisionale degli Stati Uniti informale ed irregolare e dalla mancata consegna per questioni politiche interne di una vitale assistenza nella sicurezza”.
Se il primo incentivo per Zelenski doveva essere il vertice alla Casa Bianca, Taylor scoprì il 18 luglio che gli aiuti militari all’Ucraina erano stati sospesi per ordine del capo di gabinetto, Mick Mulvaney, su istruzioni del presidente che, gli era stato detto, “non vuol fornire alcuna assistenza”. Secondo Taylor, il canale irregolare veniva gestito da Trump attraverso diversi emissari: il legale personale del presidente, Rudy Giuliani, l’ex segretario all’Energia, Rick Perry, l’ambasciatore all’Unione europea, Gordon Sondland, e lo speciale inviato in Ucraina, Kurt Volker, che si sarebbero progressivamente incentrati unicamente sul persuadere il nuovo presidente ucraino.
Stando alle dichiarazioni di Taylor, diffuse dal sito Lawfare, Sondland fece chiaramente capire nel corso di una conversazione telefonica che tanto gli aiuti militari quanto un incontro alla Casa Bianca con Trump dipendevano dall’avvio di due inchieste. La prima sulla società energetica ucraina Burisma, nella quale aveva lavorato Hunter Biden, figlio di Joe, la seconda sul ruolo dell’Ucraina nelle Presidenziali del 2016, con riferimento ad una teoria cospirativa secondo cui, nonostante il parere contrario delle agenzie di intelligence, era stata l’Ucraina a interferire nel voto a favore dei Democratici e non la Russia a favore di Trump. “Durante quella telefonata l’ambasciatore Sondland mi disse che il presidente Trump gli aveva detto di volere dal presidente Zelenskiy una dichiarazione pubblica in cui annunciava che l’Ucraina indagherà su Burisma e le presunte interferenze ucraine nelle elezioni del 2016”, ha dichiarato Taylor. “Sondland disse che ‘ogni cosa dipendeva da quell’annuncio, inclusa l’assistenza nella sicurezza’”.
Sondland però, attraverso il suo avvocato Robert Luskin, fa sapere di “non ricordare” di aver parlato con gli ucraini dello stop agli aiuti militari Usa. “Sondland non ricorda nessuna conversazione a Varsavia riguardo al taglio degli aiuti, anche se lui sapeva che gli ucraini, in quel momento, certamente erano al corrente dello stop ed avevano sollevato la questione direttamente con Mike Pence“, ha dichiarato l’avvocato al Washington Post.
Nyt: “Non solo aiuti militari, bloccati anche i privilegi commerciali”
Secondo il Nyt, però, l’amministrazione Trump potrebbe aver bloccato non solo gli aiuti militari all’Ucraina, ma anche i privilegi commerciali. A fine agosto, si legge, il rappresentante per il commercio Usa, Robert Lighthizer, ritirò la sua raccomandazione di ripristinare alcuni privilegi commerciali a Kiev dopo che John Bolton, allora consigliere per la sicurezza nazionale, lo ammonì che Trump probabilmente si sarebbe opposto a ogni azione a beneficio dell’Ucraina.
E fonti sentite dall’Associated Press sostengono che oltre due mesi prima della telefonata che ha scatenato l’indagine per l’impeachment di Donald Trump, Zelensky confidò ai suoi consiglieri di essere preoccupato per le pressioni del presidente americano che chiedeva di investigare su Joe Biden. Il leader ucraino riunì un piccolo gruppo di suoi uomini lo scorso 7 maggio per discutere di come gestire le insistenti richieste di Trump e di come evitare di rimanere coinvolti nelle elezioni americane.