Vincenzo Scarantino voleva ritrattare la sua falsa confessione alla vigilia della deposizione in aula. Sembrano svelarlo i brogliacci contenenti le intercettazioni dell’ex pentito di mafia – che con le sue dichiarazioni depistò le prime indagini sulla strage di via d’Amelio – nella primavera del 1995, nel periodo in cui Scarantino si trovava a San Bartolomeo al Mare, in Liguria, guardato a vista dagli uomini del gruppo investigativo diretto da Arnaldo La Barbera che indagava sulle stragi mafiose. Si tratta di 19 bobine, depositate dalla Procura di Messina alla procura di Caltanissetta, che indaga sul depistaggio sulla strage di Paolo Borsellino. Lo scorso 19 giugno sono stati effettuati, al Racis dei Carabinieri di Roma, degli accertamenti tecnici non ripetibili nell’ambito dell’inchiesta di Messina sul depistaggio sulla strage di Via D’Amelio. E ora le microcassette, che riguardano Scarantino sono al vaglio della Dda di Caltanissetta.
“Rosalia, prepara le valigie. Voglio tornare in carcere“. Sono le 20.27 del 22 maggio 1995 e mancano appena due giorni al processo sulla strage Borsellino a Caltanissetta. Scarantino parla al telefono con la moglie Rosalia Basile. Non sanno di essere intercettati. Scarantino ha appena finito una interrogatorio con la pm Annamaria Palma, che coordina l’inchiesta. Un interrogatorio durato dalle 16 alle 18, come risulta dagli atti. Ma succede qualcosa e al suo ritorno a casa decide di tornare in carcere, forse per svelare il depistaggio. È solo una delle intercettazioni contenuta nelle centocinquanta pagine con le trascrizioni di tutte, anzi di quasi tutte, le intercettazioni di Scarantino. Perché dalle bobine risultano diverse telefonate non registrate. Più volte. Anche con un numero riferibile alla Procura di Caltanissetta. Ma cosa succede tra le 20.27 del 22 maggio alla mattina del 24 maggio 1995, quando Scarantino si presenta puntualmente davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta per proseguire il suo depistaggio, le sue false rivelazioni. Anzi, fa di più. Dice a gran voce: “Pentitevi tutti”, rivolto agli altri boss mafiosi. Cosa è successo?
“Mi sento preso in giro” diceva Scarantino al suo legale, l’avvocato Lucia Falzone, al telefono, senza sapere di essere intercettato nella sua casa di San Bartolomeo al Mare, in Liguria. E’ il 22 gennaio del 1995 e Scarantino confida all’avvocato. Si sente “preso in giro” ma “non dagli avvocati”, chiarisce al legale. Per questo motivo vuole tornare in carcere e “rispedire la famiglia a Palermo”. “Afferma che non ce l’ha con i magistrati – come annotano i poliziotti nel brogliaccio che è stato depositato alla Procura di Caltanissetta e di cui è in possesso l’Adnkronos- ma con qualcuno di Palermo che lo vuole fare innervosire” e che vede “cose strane”. E ribadisce che lui “sa” di parlare con sincerità”. Il giorno successivo, invece di tornare in carcere e “rispedire la famiglia a Palermo”, depone al processo per la strage.
“Non sono pentito di quello che ho fatto, anzi dovevo parlare subito dopo il io arresto“, diceva invece il 4 maggio del 1995 parlando con la cognata al telefono. I due non sanno di essere intercettati. La conversazione è finita nel brogliaccio depositato dalla Procura di Messina ai colleghi nisseni nell’ambito dell’inchiesta sul depistaggio sulle strage di via D’Amelio. Poco prima la moglie di Scarantino, Rosalia parla con la sorella e quest’ultima gli dice: “Se Enzo (Scarantino ndr) torna indietro con la sua scelta è meglio per tutti”. E Rosalia le dice che quando sente parlare al telefono del marito “pensa sempre a brutte cose”. Ma quando passa la cornetta al marito, Scarantino dice alla cognata di non essere affatto pentito della sua scelta. Si dice “preoccupato” per la suocera perché la madre “non la tocca nessuno”.
Più volte Scarantino chiama un numero con il prefisso di Caltanissetta. Poi chiama a Palermo il numero della Squadra mobile per parlare con Mario Bo, che però non risponde al telefono. E nel brogliaccio si legge: “Enzo chiede spiegazioni sulle domande che ha scritto in merito alla prossima presenza in aula”. Domande di chi? E perché? Scarantino poi richiama ancora Bo per avere “spiegazioni sulle domande“. Dopo poche ore altra telefonata al prefisso 0934, che ancora una volta non risponde. Il 4 maggio, ancora una volta, la telefonata non viene registrata “per motivi tecnici”. Stavolta è un telefono cellulare. E più volte, facendo altri numeri di telefono per la Germania, si legge sul brogliaccio “Sbaglia numero”. Anche il 5 maggio 1995 la telefonata fatta da Scarantino non viene registrata “perché finiscono i nastri per la sua lunga durata, tre ore”, si legge sul brogliaccio.Tre ore di conversazione. E perché non viene registrata ancora una volta?
Il 26 maggio 1995 Scarantino tiene la cornetta alzata ma finge soltanto di parlare, come annotano gli investigatori. Perché? Il 10 giugno 1995 Scarantino chiede di parlare con l’avvocato Lucia Falzone, che però gli spiega che servono 15 giorni per potere avere un colloquio. Poi, sempre a giugno, più volte formula il numero con lo 0934 ma non risponde nessuno, come scrivono i poliziotti. La Procura? Cerca anche più volte Mario Bo, che però “non è in ufficio”. In più occasioni, i poliziotti addetti alle intercettazioni scrivono ‘controllò. E altre volte “non prende la linea”.