Le rivalutazioni degli assegni restano scaglionate, ma le aliquote scendono a sei dalle sette previste dalla precedente manovra. Saranno del 100% per tutte le pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo, quindi fino a 2.052 euro. L’aumento degli assegni tra 1.500 e 2mila euro sarà dunque di 79 euro l’anno invece dei 76 ottenuti nel 2019. Riguarderà circa 2,8 milioni di pensionati. La rivalutazione rimarrà invece del 77% per i trattamenti fino a cinque volte il trattamento minimo, al 52% fino a sei volte, 47% fino a otto volte, 45% fino a nove volte e 40% per i trattamenti superiori a nove volte. Lo scorso anno il governo gialloverde aveva adottato per il triennio 2019-2021 uno schema di rivalutazione più generoso rispetto a quelli adottati a partire dal 2011. Senza interventi, dopo diversi anni di congelamento degli adeguamenti all’inflazione nel 2019 sarebbe tornata in vigore la legge 388 del 2000 che prevedeva comunque una perequazione piena, pari all’1,1% dell’assegno, solo per quelli inferiori a tre volte il minimo.
Per il leader dei pensionati Cgil Ivan Pedretti la mini rivalutazione “è un’elemosina” perché si fermerà a poco più di tre euro l’anno (25 centesimi al mese). Lo Spi conferma la manifestazione del 16 novembre. “Bisognerebbe dare la rivalutazione piena almeno fino alle pensioni tra le sei e le sette volte il minimo (3.044 euro al mese quelle fino a sei volte il minimo, ndr)”, dice Pedretti. “E bisognerebbe dare risposte sulla quattordicesima allargandola anche a coloro che hanno redditi da pensione tra i 1.000 e i 1.500 euro al mese”.