Tutti a processo. A quasi 5 anni dalla notte in cui un incendio avvolse il traghetto Norman Atlantic in navigazione, nel mare in tempesta tra Igoumenitsa e Ancona, 32 imputati – 30 persone e due società – sono stati rinviati a giudizio dal gup del Tribunale di Bari, Francesco Agnino. A causa delle fiamme e nella successiva fase di evacuazione persero la vita 31 persone (19 delle quali mai ritrovate e due, probabilmente clandestini, non identificate) e altri 64 passeggeri rimasero feriti. Il processo inizierà il 26 febbraio 2020.
A processo per i reati, a vario titolo contestati, di cooperazione colposa in naufragio, omicidio colposo e lesioni colpose plurime oltre a numerose violazioni sulla sicurezza e al codice della navigazione, l’armatore, Carlo Visentini della Visemar, i due legali rappresentanti della società greca Anek Lines, noleggiatrice della motonave, le stesse società, il comandante Argilio Giacomazzi e 26 membri dell’equipaggio. A sei di loro si contesta anche di aver abbandonato la nave prima che tutti i passeggeri fossero in salvo. Molti reati contestati (norme legate alla sicurezza sul lavoro, alle procedure di navigazione ed emergenza, nonché incendio e lesioni) rischiano la prescrizione, come aveva spiegato Ilfattoquotidiano.it nel quarto anniversario della tragedia.
Sulle cause di quanto accaduto in quella notte si è celebrato un incidente probatorio che è durato circa due anni con numerosi accessi a bordo del relitto. Le conclusioni dei periti, pubblicate in esclusiva da Ilfatto.it, parlavano di un “antincendio realizzato male e di parte dell’equipaggio impreparato”. Nelle quasi 700 pagine di relazione era finito anche il sistema di gestione dell’emergenza incendi nel garage, dove si svilupparono le fiamme, sulla cui origine il collegio nominato dal tribunale tiene aperte diverse ipotesi.
L’innesco più plausibile – come si evince anche dagli audio delle comunicazioni interne – resta il malfunzionamento di un rimorchio-frigo. Una pratica, quella dei motori diesel accesi durante la navigazione, vietata a bordo e tuttavia necessaria quella notte nel garage del Norman, poiché – si sostiene nella perizia – sul ponte 4 c’erano 43 camion che necessitavano di energia elettrica e sole 40 spine. Almeno tre, quindi, non erano collegati e le celle di refrigerazione degli alimenti trasportati venivano alimentate grazie ai motori accesi.
Quella notte – secondo i periti Salvatore Carannante, Francesco Carpinteri, Bernardino Chiaia, Enzo Dalle Mese e Pasquale Del Sorbo – tra le concause della mancata estinzione dell’incendio c’è anche al black out che mandò subito in tilt la nave e tre errori umani, tra cui l’apertura dell’antincendio sul ponte sbagliato – un sospetto che Ilfattoquotidiano.it aveva anticipato nel dicembre 2015 – e oltretutto tardivo, poiché avvenuto “da 10 a 15 minuti” il momento in cui divamparono le fiamme. Un lasso di tempo in cui, per come era stato concepito il Norman, “le simulazioni numeriche e i dati di letteratura” dimostrano che le “probabilità di contenimento con i sistemi presenti erano diventate praticamente nulle”.
“Una prima importantissima certificazione sulla gravità delle condotte non solo a carico di una buona parte dell’equipaggio, che avendo un obbligo non solo morale ma anche giuridico, ha abbandonato la nave e i passeggeri al loro destino, ma anche e sopratutto delle compagnie di navigazione che hanno consapevolmente accettato un rischio consentendo l’imbarco di camion frigo in misura superiore alle capacità della nave”, commenta l’avvocato di parte civile Massimiliano Gabrielli, che assiste diversi naufraghi assieme ai colleghi Alessandra Guarini e Cesare Bulgheroni. “Per questo – continua – è stata contesta a tutti la aggravante della colpa cosciente e la nostra richiesta di danni punitivi per circa 27 milioni di euro servirà a riequilibrare il sistema, tra chi per anni ha guadagnato accettando il rischio di un incidente pur di continuare a far girare la nave e il registratore di cassa, e chi ha pagato un biglietto e si è ritrovato in un inferno di fuoco”.