In una lettera al Corriere della Sera, il segretario del Partito Democratico lancia la tre giorni di Bologna: "La giustizia sociale, la rivoluzione verde per lo sviluppo, che sono l'anima del nostro progetto alternativo alla destra, richiedono pensiero e cultura". L'autocritica: "Ho avvertito a volte una resistenza politica, ma persino psicologica, ad aprirsi davvero a una ricerca libera per costruire un destino comune". Le stoccate a Salvini: "Offre approdi chiari, ma autoritari, regressivi e intollerabili per noi, illiberali e xenofobi"
Il Pd è da “rifondare”. Nel senso che è necessario “ricostruire una comunità aperta” per offrire “in primo luogo ad una nuova generazione una opportunità di partecipazione e battaglia collettiva”. Nicola Zingaretti lancia così la convention di Bologna a novembre, dove, assicura, “apriremo un grande confronto politico e culturale su come pensiamo gli anni 20 del nuovo secolo”. In una lettera al Corriere della Sera, il segretario del Partito Democratico spiega: “Ci si domanda spesso perché Salvini e la destra siano così forti. I motivi sono molti tra cui sicuramente la presenza nel territorio. Ma ce ne è uno, in particolare, che generalmente viene poco analizzato nei commenti e nel dibattito politico”. Ovvero: “La destra ha saputo più di noi cogliere lo smarrimento degli italiani, lo sradicamento di legami antichi, la paura della frammentazione e della dispersione”.
“Si dice: è la globalizzazione. Ma come sappiamo essa crea opportunità, insieme a tante fragilità e incertezze – continua – I cittadini impauriti vogliono ritrovare la loro ‘casa’. La loro ‘casa interiore’, protettiva e in grado di far loro esprimere i bisogni, i desideri e i talenti di cui sono dotati. Non si vive senza una ‘casa’”. In questo senso, aggiunge, la destra sovranista “in tutto il mondo, e la Lega in Italia” propongono “approdi forti e chiari”. Che Zingaretti definisce “autoritari, regressivi e intollerabili per noi, illiberali e xenofobi”. Ma, sottolinea, “sono approdi, forme cui aggrapparsi. Simboli identitari e sicurezze ideologiche”. Matteo Salvini, aggiunge, “è il migliore a raccontare e rappresentare i problemi ma è il peggiore a risolverli. È un tifone di bugie raccontate con un sorriso”.
Il segretario del Pd fa quindi autocritica: “Di fronte a questo, ecco l’enorme macigno che abbiamo dinnanzi, il centrosinistra non è stato in grado di fare altrettanto sulla base di un suo rinnovamento ideale, programmatico e identitario. Negli anni nella dispersione ci abbiamo messo anche qualcosa di nostro: una storia di conflitti, separazioni, di chiusure e a volte di egoismi: il rintanarsi nel proprio io, quando era essenziale far sentire al popolo la forza del noi e la voglia di sentirsi parte di una comunità”. Una “spinta” che, a suo avviso, è stata presenta “solo nel campo democratico”, dove il primo pensiero è stato “difendere le proprie posizioni in modo assertivo e solitario”.
“Ho avvertito a volte una resistenza politica, ma persino psicologica, ad aprirsi davvero a una ricerca libera per costruire un destino comune. Per usare insieme la forza della critica e ritrovare un’identità comune”. Il Pd, ragiona, “in questo quadro ‘resiste'” e, aggiunge, “è allo stato attuale il solo partito ‘argine’ all’avanzata impetuosa della destra”. Ma, si chiede Zingaretti, “si può andare avanti così?”. Il segretario non risparmia una stoccata a quelli che definisce “picconatori”, un evidente riferimento alla scissione di Matteo Renzi: “Sbaglia chi lo vuole picconare, perché così si indebolisce la democrazia. Ma sbagliano anche tutte le derive conservatrici che ci rendono inadeguati a rispondere all’inquietudine degli italiani. E certo che a queste difficoltà non si risolvono con un partito monoculturale o del leader. Ma neanche con un arcipelago di confuse parzialità che ci portano a praticare una politica lontana dalla vita”.
Da qui, la necessità di una “rifondazione”. Zingaretti traccia anche le linee guida per il nuovo Pd: “La giustizia sociale, la rivoluzione verde per lo sviluppo, che sono l’anima del nostro progetto alternativo alla destra, richiedono pensiero e cultura. E nel medesimo tempo forme di rappresentanza più coinvolgenti e libere per i singoli iscritti. Per questo a Bologna a novembre apriremo un grande confronto politico e culturale su come pensiamo gli anni 20 del nuovo secolo”.
Un ripensare il Partito Democratico “in modo radicale” che non passa attraverso il “cambiare qualche regola”, ma “di una scelta politica di fondo” dopo 12 anni “di parole e auspici”. “Cambiare davvero tutto per dare alla democrazia italiana un soggetto plurale ricco e partecipato della politica – spiega – Per offrire in primo luogo ad una nuova generazione una opportunità di partecipazione e battaglia collettiva. Rifondare il Pd per me significa in primo luogo questo: ricostruire una comunità aperta”. Una scelta da fare “insieme”, assicura aggiungendo che “il mio impegno, fortissimo e sincero come leader del Pd, ha un senso solo se dalle generiche volontà si passerà alla realizzazione concreta di un nuovo Pd”. Che deve essere “aperto, plurale e radicato” e quindi “capace di coinvolgere le forze migliori della società” perché “questo processo riguarda tutti coloro che amano la democrazia italiana”.