Il Napoli pareggia con l’Atalanta in un mare di polemiche, la Juve batte il Genoa sospinta da un paio di decisioni più che favorevoli, la Roma stravince contro l’Udinese nonostante un putiferio arbitrale. Almeno quattro episodi decisivi per la giornata (per il campionato sarebbe un’esagerazione, ma certo la vittoria in extremis dei bianconeri e lo stop degli azzurri peseranno anche alla fine). E nessuno che va a controllare, rivedere, accertarsi di aver preso la decisione giusta. Perché in Italia i fischi arbitrali non si discutono, si accettano come legge divina.
La Serie A era iniziata male con l’applicazione delle nuove regole sui falli di mano (internazionali certo, ma l’interpretazione è tutta italiana), prosegue peggio. Il turno infrasettimanale è stato forse la giornata più negativa dall’inizio della stagione. Non tanto nei risultati quanto nelle polemiche. A guardare gli episodi nel merito, infatti, non c’è stato alcuno scandalo epocale. L’unica vera topica è l’espulsione di Fazio per una normale spallata, ma col 4-0 della Roma l’errore si sarebbe potuto facilmente archiviare. Il rigore su Ronaldo è generoso, più grave è l’ingenuità del giocatore del Genoa che al 95’ sgambetta un avversario in area in posizione defilata. Idem l’espulsione di Cassata: severa, impensabile a parti invertite, ma si è visto di peggio. Persino l’episodio più discusso, quello di Napoli, non è così netto: Kjaer si disinteressa del pallone e travolge Llorente, ma prima è lo spagnolo a colpirlo con un gomito alto. Perché tutto questo caos allora? Per colpa degli arbitri: non delle loro scelte, ma del loro atteggiamento. Una “casta” che non accetta sia messo in discussione il suo potere e fa di tutto per resistere al cambiamento.
Stavolta ha detto tutto Aurelio De Laurentiis: “Io non voglio dire se sia rigore o meno. Io dico che ho il diritto di vedere le immagini al Var. Venissero a spiegarci le cose, anziché pontificare dall’alto. Ma chi siete? Calmi, tranquilli, sereni. Questo è il più bel gioco del mondo, che state cercando di avvelenare”. Da un anno e mezzo, infatti, il calcio (non solo quello italiano, ma soprattutto quello italiano) è prigioniero del paradosso del Var: abbiamo finalmente introdotto uno strumento tecnologico che potrebbe ridurre al minimo errori e contestazioni, eppure non lo sfruttiamo a pieno per non mettere in discussione il ruolo degli arbitri. Come se il direttore di gara fosse una componente del gioco e non un suo giudice terzo.
All’inizio è stata una restaurazione silenziosa, poi conclamata dalle modifiche dei protocolli internazionali: è bastato introdurre un cavillo, la capziosa definizione di “chiaro ed evidente errore” a cui è condizionato il ricorso alla moviola, per sterilizzare l’oggettività della tecnologia e tornare all’antico. A parte una casistica davvero circoscritta, praticamente qualsiasi decisione può essere considerata una scelta dell’arbitro. Così sono liberi di utilizzare il Var ma anche di non farlo. Ed è quello che è successo di nuovo, per l’ennesima volta, ieri sera.
Sarebbe stato così semplice aiutarsi. Magari il Genoa non avrebbe giocato oltre mezz’ora in dieci e oggi la Juve non sarebbe prima in classifica. Magari il Napoli avrebbe vinto 3-1 invece che pareggiato 2-2. O magari no, non sarebbe cambiato nulla. Perché ci poteva stare anche confermare le stesse decisioni davanti alla moviola. Ma rivedendo l’episodio al rallentatore, ascoltando cosa si sono detti arbitro e assistente, mostrando magari il fermo immagine della gomitata di Llorente e spiegando che quella era la ragione della scelta, sarebbe stato diverso. Qualcuno avrebbe accettato, qualcun altro sarebbe rimasto dell’opinione contraria perché il calcio è vario. Però almeno tutto sarebbe stato trasparente. In fondo, chiediamo così poco: non vogliamo arbitri perfetti, solo meno presuntuosi.