Usa, gli States riconoscono il genocidio degli armeni. A quando gli altri?
L’incoerenza e l’opportunismo, sul fronte dei genocidi perpetrati in Europa tra XIX e XXI secolo, continuano a regnare. L’occasione per riflettere viene offerta dal recente riconoscimento, da parte della Camera degli Stati Uniti, del genocidio di un milione e mezzo di armeni commesso tra 1915 e 1917 dall’Impero ottomano, di cui è erede la Turchia. Dove per “genocidio” si intende, secondo la definizione adottata dall’Onu, “ciascuno degli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.
Occorre premettere che la contorta linea politica delle istituzioni statunitensi nei confronti della Turchia e del suo presidente/dittatore Recep Tayyip Erdogan è a dir poco ondivaga. Si distingue il presidente repubblicano Donald Trump, che prima ha abbandonato gli ex alleati curdi nel Nord della Siria nelle fauci dell’esercito turco, quindi ha invitato Erdogan alla Casa Bianca per il 13 novembre. Lo accoglierà perché la Turchia, giura Trump, ha “una buona reputazione”, è “un grande partner commerciale” e “un Paese con cui è facile trovare accordi”.
Però il presidente degli Stati Uniti si troverà sull’uscio un Erdogan imbufalito. Motivo? Proprio il 30 ottobre i deputati della Camera Usa hanno approvato quasi all’unanimità (democratici e repubblicani assieme, con soli 11 contrari e 19 astenuti su 435 votanti), la risoluzione che riconosce il genocidio armeno e un’altra che chiede di imporre sanzioni alla Turchia per l’offensiva in Siria. La parola passerà presto al Senato.
Così, mentre in Turchia chi parla o scrive del genocidio finisce in galera, la scelta dei deputati statunitensi ha confortato l’Armenia (piccolo Stato indipendente, prima all’interno dell’Urss) e i milioni di armeni della diaspora successiva al massacro o giunti dopo la disgregazione sovietica: 2 milioni vivono degli Stati Uniti, qualche migliaio dentro i confini italiani. Attualmente il massacro viene riconosciuto da una trentina di Paesi, tra cui l’Italia.
Però i ruoli geopolitico, militare ed economico turchi inducono alla cautela. E manca la presa di posizione definitiva da parte degli Stati Uniti, che forse arriverà se Trump non si metterà di traverso. Quest’ultimo nel 2017 aveva definito la vicenda “una delle peggiori atrocità di massa del XX secolo”, senza fare poi passi ufficiali. Barack Obama, prima di essere eletto nel 2008, si era impegnato a riconoscere il genocidio, ma non lo fece.
Torniamo dunque all’incoerenza a proposito di genocidi. Sia chiaro: il sacrificio di quasi due milioni di armeni merita senza dubbio un pieno riconoscimento, possibilmente più esteso di quello espresso da appena trenta Stati sovrani su 196 nel mondo. Resta tuttavia l’impressione che i governi e i parlamenti dei Paesi cosiddetti “democratici” cavalchino lo sdegno, pure quello a scoppio ritardato, sull’onda delle mode più convenienti.
Per esempio, si fa grande fatica a considerare degni di solidarietà i genocidi legati alla guerra condotta dall’Arabia Saudita contro gli sciiti nello Yemen o quelli contro un milione di rohingya, perseguitati in Birmania. Sono abbandonati a se stessi – per fare altri due esempi – anche gli yazidi (500mila) in Iraq, massacrati ultimamente anche dall’Isis, e gli uiguri (8,5 milioni) in Cina.
Nel caso degli Stati Uniti, poi, c’è un’enorme buco nero per quel che riguarda il genocidio delle popolazioni native americane. Nel 1890, allorché la “conquista del Selvaggio West” (espressione ancora usata dalla retorica americana bianca) fu completata, in tutto il Nord America erano rimasti 250mila dei 12 milioni di nativi presenti quattro secoli prima; ma la loro emarginazione è andata avanti ancora a lungo e per molti versi non è mai finita.
Fra le tante pagine nere della storia, poche sono state manipolate come questa: stragi, esecuzioni di massa, persecuzioni, segregazione, sterilizzazione forzata sono crimini non soltanto rimossi, ma addirittura “esaltati” da certa cinematografia western, “popolata” dai “pellerossa cattivi”. Soltanto nel 2005 il Senato statunitense ha presentato le scuse ufficiali. Nonostante questa tardiva presa di posizione, i nativi – oggi in tutto 5 milioni – sono ancora per lo più emarginati.
Tra i ragazzi che vivono nelle riserve il numero di suicidi è 150 volte più alto rispetto a quello tra i coetanei bianchi. Un nativo su cinque è alcolizzato, le condizioni economiche e sanitarie sono disastrose, la disoccupazione è endemica. E ancora oggi i “pellerossa” valgono meno di un oleodotto, come dimostra la forte repressione durante le proteste dei Sioux che si sono opposti alla costruzione dell’inquinante Dakota Access Pipeline nei “loro” limitati territori: gli oleodotti hanno il forte sostegno del presidente Trump, che ha ordinato di colpire duramente le comunità indigene (e gli ambientalisti).
Insomma, il riconoscimento del genocidio armeno è importante, così come non bisogna dimenticare la Shoah e i campi di sterminio nazisti. Ma sarebbe fondamentale anche riconoscere che tra XIX e XXI secolo di genocidi ce ne sono stati altri. Così come altri ancora sono in corso: però quasi nessuno ha voglia di vedere quello accade in luoghi in cui telecamere e social network non possono, o non vogliono, arrivare.
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La Redazione
Washington, 16 mar. (Adnkronos) - Il Segretario di Stato Marco Rubio ha dichiarato alla Cbs che ci sarà un aumento dei casi di detenzione simili a quello del manifestante filo-palestinese Mahmoud Khalil. "Ogni giorno, ormai - ha aggiunto - approviamo revoche di visti e anche di Green Card".
"Devi fare certe dichiarazioni", ha spiegato a proposito dei non cittadini che arrivano negli Stati Uniti. "Se ci dici, quando fai domanda per un visto, che stai arrivando negli Stati Uniti per partecipare a eventi pro-Hamas che vanno contro gli interessi della politica estera... Se ci avessi detto che lo avresti fatto, non ti avremmo mai dato il visto".
Beirut, 16 mar. (Adnkronos) - Hezbollah ha condannato in una dichiarazione gli attacchi americani contro obiettivi Houthi nello Yemen. "Affermiamo la nostra piena solidarietà nei confronti del coraggioso Yemen e chiediamo a tutti i popoli liberi del mondo e a tutte le forze di resistenza nella nostra regione e nel mondo di unirsi per contrastare il progetto sionista americano contro i popoli della nostra nazione", ha scritto in una nota il Partito di Dio.
Washington, 16 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi americani in Yemen sono "un avvertimento per gli Houthi e per tutti i terroristi". Lo ha detto a Fox News il vice inviato degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Morgan Ortagus, sottolineando che "questa non è l'amministrazione Biden. Se colpisci gli Stati Uniti, il presidente Trump risponderà. Il presidente Trump sta ripristinando la leadership e la deterrenza americana in Medio Oriente".
Washington, 16 mar. (Adnkronos) - Steve Witkoff, ha definito "inaccettabili" le ultime richieste di Hamas in merito al cessate il fuoco a Gaza. Riferendosi alla conferenza del Cairo di inizio mese, l'inviato statunitense per il Medio Oriente ha detto alla Cnn di aver "trascorso quasi sette ore e mezza al summit arabo, dove abbiamo avuto conversazioni davvero positive, che descriverei come un punto di svolta, se non fosse stato per la risposta di Hamas".
Hamas avrebbe insistito affinché i negoziati per un cessate il fuoco permanente iniziassero lo stesso giorno del prossimo rilascio di ostaggi e prigionieri palestinesi. Secondo Al Jazeera, Hamas ha anche chiesto che, una volta approvato l'accordo, i valichi di frontiera verso Gaza venissero aperti, consentendo l'ingresso degli aiuti umanitari prima del rilascio di Edan Alexander e dei corpi di quattro ostaggi. Inoltre, il gruppo ha chiesto la rimozione dei posti di blocco lungo il corridoio di Netzarim e l'ingresso senza restrizioni per i residenti di Gaza che tornano dall'estero attraverso il valico di Rafah.
"Abbiamo trascorso parecchio tempo a parlare di una proposta di ponte che avrebbe visto il rilascio di cinque ostaggi vivi, tra cui Edan Alexander, e anche, tra l'altro, il rilascio di un numero considerevole di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane", ha detto Witkoff. "Pensavo che la proposta fosse convincente: gli israeliani ne erano stati informati e avvisati in anticipo". "C'è un'opportunità per Hamas, ma si sta esaurendo rapidamente", ha continuato Witkoff. " Con quello che è successo ieri con gli Houthi, ciò che è successo con il nostro ordine di attacco, incoraggerei Hamas a diventare molto più ragionevole di quanto non sia stato finora".
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - L'esercito israeliano ha scoperto un nascondiglio di armi nel campo profughi di Nur Shams, fuori Tulkarem, nella Cisgiordania settentrionale. Lo ha reso noto l'Idf, precisando che sono state rinvenute diverse borse contenenti armi, una delle quali conteneva anche un giubbotto con la scritta 'Unrwa'. Le armi confiscate sono state consegnate alle forze di sicurezza per ulteriori indagini.
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - Un missile lanciato dagli Houthi è caduto a Sharm el-Sheikh, nella penisola egiziana del Sinai. Lo ha riferito la radio dell'esercito israeliano, aggiungendo che l'Idf sta indagando per stabilire se il missile fosse diretto contro Israele.
Passo del Tonale, 15 mar.(Adnkronos) - Che l’aspetto competitivo fosse tornato ad essere il cuore pulsante di questa quinta edizione della Coppa delle Alpi era cosa già nota. Ai piloti il merito di aver offerto una gara esaltante, che nella tappa di oggi ha visto Alberto Aliverti e Francesco Polini, sulla loro 508 C del 1937, prendersi il primo posto in classifica scalzando i rivali Matteo Belotti e Ingrid Plebani, secondi al traguardo sulla Bugatti T 37 A del 1927. Terzi classificati Francesco e Giuseppe Di Pietra, sempre su Fiat 508 C, ma del 1938. La neve, del resto, è stata una compagna apprezzatissima di questa edizione della Coppa delle Alpi, contribuendo forse a rendere ancor più sfidante e autentica la rievocazione della gara di velocità che nel 1921 vide un gruppo di audaci piloti percorrere 2300 chilometri fra le insidie del territorio alpino, spingendo i piloti a sfoderare lo spirito audace che rappresenta la vera essenza della Freccia Rossa.
Nel pomeriggio di oggi, dalla ripartenza dopo la sosta per il pranzo a Baselga di Piné, una pioggia battente ha continuato a scendere fino all’arrivo sul Passo del Tonale, dove si è trasformata in neve. Neve che è scesa copiosa anche in occasione del primo arrivo di tappa a St. Moritz e ieri mattina, sul Passo del Fuorn. Al termine di circa 880 chilometri attraverso i confini di Italia, Svizzera e Austria, i 40 equipaggi in gara hanno finalmente tagliato il traguardo alle 17:30 di oggi pomeriggio all’ingresso della Pista Ghiaccio Val di Sole, dove hanno effettuato il tredicesimo ed ultimo Controllo Orario della manifestazione.
L’ultimo atto sportivo dell’evento è stato il giro nel circuito, all’interno del quale le vetture si sono misurate in una serie di tre Prove Cronometrate sulla neve fresca valide per il Trofeo Ponte di Legno, vinto da Francesco e Giuseppe Di Pietra. L’altro trofeo speciale, il Trofeo Città di Brescia, ovvero la sfida 1 vs 1 ad eliminazione diretta di mercoledì sera in Piazza Vittoria, era stato anch’esso vinto da Aliverti-Polini.
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Marco Brando
Giornalista e scrittore
Diritti - 1 Novembre 2019
Usa, gli States riconoscono il genocidio degli armeni. A quando gli altri?
L’incoerenza e l’opportunismo, sul fronte dei genocidi perpetrati in Europa tra XIX e XXI secolo, continuano a regnare. L’occasione per riflettere viene offerta dal recente riconoscimento, da parte della Camera degli Stati Uniti, del genocidio di un milione e mezzo di armeni commesso tra 1915 e 1917 dall’Impero ottomano, di cui è erede la Turchia. Dove per “genocidio” si intende, secondo la definizione adottata dall’Onu, “ciascuno degli atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.
Occorre premettere che la contorta linea politica delle istituzioni statunitensi nei confronti della Turchia e del suo presidente/dittatore Recep Tayyip Erdogan è a dir poco ondivaga. Si distingue il presidente repubblicano Donald Trump, che prima ha abbandonato gli ex alleati curdi nel Nord della Siria nelle fauci dell’esercito turco, quindi ha invitato Erdogan alla Casa Bianca per il 13 novembre. Lo accoglierà perché la Turchia, giura Trump, ha “una buona reputazione”, è “un grande partner commerciale” e “un Paese con cui è facile trovare accordi”.
Però il presidente degli Stati Uniti si troverà sull’uscio un Erdogan imbufalito. Motivo? Proprio il 30 ottobre i deputati della Camera Usa hanno approvato quasi all’unanimità (democratici e repubblicani assieme, con soli 11 contrari e 19 astenuti su 435 votanti), la risoluzione che riconosce il genocidio armeno e un’altra che chiede di imporre sanzioni alla Turchia per l’offensiva in Siria. La parola passerà presto al Senato.
Così, mentre in Turchia chi parla o scrive del genocidio finisce in galera, la scelta dei deputati statunitensi ha confortato l’Armenia (piccolo Stato indipendente, prima all’interno dell’Urss) e i milioni di armeni della diaspora successiva al massacro o giunti dopo la disgregazione sovietica: 2 milioni vivono degli Stati Uniti, qualche migliaio dentro i confini italiani. Attualmente il massacro viene riconosciuto da una trentina di Paesi, tra cui l’Italia.
Però i ruoli geopolitico, militare ed economico turchi inducono alla cautela. E manca la presa di posizione definitiva da parte degli Stati Uniti, che forse arriverà se Trump non si metterà di traverso. Quest’ultimo nel 2017 aveva definito la vicenda “una delle peggiori atrocità di massa del XX secolo”, senza fare poi passi ufficiali. Barack Obama, prima di essere eletto nel 2008, si era impegnato a riconoscere il genocidio, ma non lo fece.
Torniamo dunque all’incoerenza a proposito di genocidi. Sia chiaro: il sacrificio di quasi due milioni di armeni merita senza dubbio un pieno riconoscimento, possibilmente più esteso di quello espresso da appena trenta Stati sovrani su 196 nel mondo. Resta tuttavia l’impressione che i governi e i parlamenti dei Paesi cosiddetti “democratici” cavalchino lo sdegno, pure quello a scoppio ritardato, sull’onda delle mode più convenienti.
Per esempio, si fa grande fatica a considerare degni di solidarietà i genocidi legati alla guerra condotta dall’Arabia Saudita contro gli sciiti nello Yemen o quelli contro un milione di rohingya, perseguitati in Birmania. Sono abbandonati a se stessi – per fare altri due esempi – anche gli yazidi (500mila) in Iraq, massacrati ultimamente anche dall’Isis, e gli uiguri (8,5 milioni) in Cina.
Nel caso degli Stati Uniti, poi, c’è un’enorme buco nero per quel che riguarda il genocidio delle popolazioni native americane. Nel 1890, allorché la “conquista del Selvaggio West” (espressione ancora usata dalla retorica americana bianca) fu completata, in tutto il Nord America erano rimasti 250mila dei 12 milioni di nativi presenti quattro secoli prima; ma la loro emarginazione è andata avanti ancora a lungo e per molti versi non è mai finita.
Fra le tante pagine nere della storia, poche sono state manipolate come questa: stragi, esecuzioni di massa, persecuzioni, segregazione, sterilizzazione forzata sono crimini non soltanto rimossi, ma addirittura “esaltati” da certa cinematografia western, “popolata” dai “pellerossa cattivi”. Soltanto nel 2005 il Senato statunitense ha presentato le scuse ufficiali. Nonostante questa tardiva presa di posizione, i nativi – oggi in tutto 5 milioni – sono ancora per lo più emarginati.
Tra i ragazzi che vivono nelle riserve il numero di suicidi è 150 volte più alto rispetto a quello tra i coetanei bianchi. Un nativo su cinque è alcolizzato, le condizioni economiche e sanitarie sono disastrose, la disoccupazione è endemica. E ancora oggi i “pellerossa” valgono meno di un oleodotto, come dimostra la forte repressione durante le proteste dei Sioux che si sono opposti alla costruzione dell’inquinante Dakota Access Pipeline nei “loro” limitati territori: gli oleodotti hanno il forte sostegno del presidente Trump, che ha ordinato di colpire duramente le comunità indigene (e gli ambientalisti).
Insomma, il riconoscimento del genocidio armeno è importante, così come non bisogna dimenticare la Shoah e i campi di sterminio nazisti. Ma sarebbe fondamentale anche riconoscere che tra XIX e XXI secolo di genocidi ce ne sono stati altri. Così come altri ancora sono in corso: però quasi nessuno ha voglia di vedere quello accade in luoghi in cui telecamere e social network non possono, o non vogliono, arrivare.
TRUMP POWER
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"Devi fare certe dichiarazioni", ha spiegato a proposito dei non cittadini che arrivano negli Stati Uniti. "Se ci dici, quando fai domanda per un visto, che stai arrivando negli Stati Uniti per partecipare a eventi pro-Hamas che vanno contro gli interessi della politica estera... Se ci avessi detto che lo avresti fatto, non ti avremmo mai dato il visto".
Beirut, 16 mar. (Adnkronos) - Hezbollah ha condannato in una dichiarazione gli attacchi americani contro obiettivi Houthi nello Yemen. "Affermiamo la nostra piena solidarietà nei confronti del coraggioso Yemen e chiediamo a tutti i popoli liberi del mondo e a tutte le forze di resistenza nella nostra regione e nel mondo di unirsi per contrastare il progetto sionista americano contro i popoli della nostra nazione", ha scritto in una nota il Partito di Dio.
Washington, 16 mar. (Adnkronos) - Gli attacchi americani in Yemen sono "un avvertimento per gli Houthi e per tutti i terroristi". Lo ha detto a Fox News il vice inviato degli Stati Uniti per il Medio Oriente, Morgan Ortagus, sottolineando che "questa non è l'amministrazione Biden. Se colpisci gli Stati Uniti, il presidente Trump risponderà. Il presidente Trump sta ripristinando la leadership e la deterrenza americana in Medio Oriente".
Washington, 16 mar. (Adnkronos) - Steve Witkoff, ha definito "inaccettabili" le ultime richieste di Hamas in merito al cessate il fuoco a Gaza. Riferendosi alla conferenza del Cairo di inizio mese, l'inviato statunitense per il Medio Oriente ha detto alla Cnn di aver "trascorso quasi sette ore e mezza al summit arabo, dove abbiamo avuto conversazioni davvero positive, che descriverei come un punto di svolta, se non fosse stato per la risposta di Hamas".
Hamas avrebbe insistito affinché i negoziati per un cessate il fuoco permanente iniziassero lo stesso giorno del prossimo rilascio di ostaggi e prigionieri palestinesi. Secondo Al Jazeera, Hamas ha anche chiesto che, una volta approvato l'accordo, i valichi di frontiera verso Gaza venissero aperti, consentendo l'ingresso degli aiuti umanitari prima del rilascio di Edan Alexander e dei corpi di quattro ostaggi. Inoltre, il gruppo ha chiesto la rimozione dei posti di blocco lungo il corridoio di Netzarim e l'ingresso senza restrizioni per i residenti di Gaza che tornano dall'estero attraverso il valico di Rafah.
"Abbiamo trascorso parecchio tempo a parlare di una proposta di ponte che avrebbe visto il rilascio di cinque ostaggi vivi, tra cui Edan Alexander, e anche, tra l'altro, il rilascio di un numero considerevole di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane", ha detto Witkoff. "Pensavo che la proposta fosse convincente: gli israeliani ne erano stati informati e avvisati in anticipo". "C'è un'opportunità per Hamas, ma si sta esaurendo rapidamente", ha continuato Witkoff. " Con quello che è successo ieri con gli Houthi, ciò che è successo con il nostro ordine di attacco, incoraggerei Hamas a diventare molto più ragionevole di quanto non sia stato finora".
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - L'esercito israeliano ha scoperto un nascondiglio di armi nel campo profughi di Nur Shams, fuori Tulkarem, nella Cisgiordania settentrionale. Lo ha reso noto l'Idf, precisando che sono state rinvenute diverse borse contenenti armi, una delle quali conteneva anche un giubbotto con la scritta 'Unrwa'. Le armi confiscate sono state consegnate alle forze di sicurezza per ulteriori indagini.
Tel Aviv, 16 mar. (Adnkronos) - Un missile lanciato dagli Houthi è caduto a Sharm el-Sheikh, nella penisola egiziana del Sinai. Lo ha riferito la radio dell'esercito israeliano, aggiungendo che l'Idf sta indagando per stabilire se il missile fosse diretto contro Israele.
Passo del Tonale, 15 mar.(Adnkronos) - Che l’aspetto competitivo fosse tornato ad essere il cuore pulsante di questa quinta edizione della Coppa delle Alpi era cosa già nota. Ai piloti il merito di aver offerto una gara esaltante, che nella tappa di oggi ha visto Alberto Aliverti e Francesco Polini, sulla loro 508 C del 1937, prendersi il primo posto in classifica scalzando i rivali Matteo Belotti e Ingrid Plebani, secondi al traguardo sulla Bugatti T 37 A del 1927. Terzi classificati Francesco e Giuseppe Di Pietra, sempre su Fiat 508 C, ma del 1938. La neve, del resto, è stata una compagna apprezzatissima di questa edizione della Coppa delle Alpi, contribuendo forse a rendere ancor più sfidante e autentica la rievocazione della gara di velocità che nel 1921 vide un gruppo di audaci piloti percorrere 2300 chilometri fra le insidie del territorio alpino, spingendo i piloti a sfoderare lo spirito audace che rappresenta la vera essenza della Freccia Rossa.
Nel pomeriggio di oggi, dalla ripartenza dopo la sosta per il pranzo a Baselga di Piné, una pioggia battente ha continuato a scendere fino all’arrivo sul Passo del Tonale, dove si è trasformata in neve. Neve che è scesa copiosa anche in occasione del primo arrivo di tappa a St. Moritz e ieri mattina, sul Passo del Fuorn. Al termine di circa 880 chilometri attraverso i confini di Italia, Svizzera e Austria, i 40 equipaggi in gara hanno finalmente tagliato il traguardo alle 17:30 di oggi pomeriggio all’ingresso della Pista Ghiaccio Val di Sole, dove hanno effettuato il tredicesimo ed ultimo Controllo Orario della manifestazione.
L’ultimo atto sportivo dell’evento è stato il giro nel circuito, all’interno del quale le vetture si sono misurate in una serie di tre Prove Cronometrate sulla neve fresca valide per il Trofeo Ponte di Legno, vinto da Francesco e Giuseppe Di Pietra. L’altro trofeo speciale, il Trofeo Città di Brescia, ovvero la sfida 1 vs 1 ad eliminazione diretta di mercoledì sera in Piazza Vittoria, era stato anch’esso vinto da Aliverti-Polini.