L’Italia avrebbe potuto essere quattro anni più avanti nella lotta all’inquinamento ambientale e nella transizione verso un’economia green più competitiva. L’11 marzo 2014 la maggioranza del Senato che sosteneva il governo guidato da Matteo Renzi approvava infatti la legge delega in materia fiscale. L’articolo 15 prevedeva l’introduzione di nuove tasse “finalizzate a orientare il mercato verso modi di consumo e produzione sostenibili e a rivedere la disciplina delle accise sui prodotti energetici e sull’energia elettrica”. Esattamente quanto previsto oggi dalla manovra giallorossa che, oltre alla tassa sulla plastica, introduce incentivi per i prodotti sfusi (inseriti nel decreto Clima) e il taglio dei sussidi dannosi su carbone, petrolio e altre fonti fossili utilizzate per la produzione di energia, principalmente elettrica.

Le stesse misure che oggi Renzi critica, con la sua maggioranza le voleva 5 anni fa. L’allora premier aveva tempo un anno per attuarle con un decreto legislativo, ma cambiò idea: fece finta di nulla e la rivoluzione verde finì nella pattumiera. “Le polemiche sulla plastica fanno capire molte cose. Sulla capacità di futuro e sull’autonomia della politica in Italia”, commenta ora il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, ex ministro dell’Ambiente (con Letta) ed ex Guardasigilli nel governo Renzi. Una manovra fortemente ecologista, spiega, “infastidisce perché mette in discussione interessi consolidati che poi trovano sempre qualche esponente politico pronto a difenderli anche con l’uso di una propaganda distorta e fake news“.

Il primo dietrofront di Renzi – Ora che Renzi è impegnato in un altro dietrofront ambientalista e ha dichiarato guerra alle tasse verdi del governo, a ricordare la prima retromarcia del leader di Italia Viva è la deputata Pd Chiara Braga. Ex responsabile nazionale per l’ambiente del Pd nella prima e nella seconda segreteria Renzi, non dimentica quando “nel 2015 il suo governo lasciò scadere senza attuarla la delega fiscale in materia ambientale-energetica: un’occasione persa“. “La manovra approvata prevede oltre alla plastic tax (migliorabile) una forte impronta ambientale. Nessun dubbio che questa sia la scelta giusta“, aggiunge Braga.

Le tasse verdi già previste nel 2014 – Una scelta che la maggioranza di Renzi aveva già fatto nel 2014. Nell’articolo 15 della legge delega allora approvata dal Senato, si parla di “nuove forme di fiscalità finalizzate a orientare il mercato verso modi di consumo e produzione sostenibili”. È anche l’obiettivo della plastic tax che ora Renzi vuole far saltare (come allora disattese quelle indicazioni). “Servono politiche che promuovano un uso razionale della plastica, la sua riciclabilità e un percorso di riconversione ecologica dell’industria”, spiega Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia, la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche. A suo parere, l’imposta potrebbe essere sfruttata “come elemento di indirizzo strategico industriale, utilizzando il gettito per supportare in maniera graduale la riconversione ecologica dell’industria italiana della plastica monouso”.

Il taglio dei sussidi dannosi 4 anni dopo – Anche la revisione della “disciplina delle accise sui prodotti energetici e sull’energia elettrica” che era stata prevista allora, viene messa in pratica oggi. Nella manovra è infatti prevista “una tassa per prodotti inquinanti impiegati per la produzione di energia“. Tradotto: vengono introdotte o aumentate le accise su carbone, petrolio e altre fonti fossili utilizzate per la produzione di energia, principalmente elettrica.

Il maggior gettito per fare investimenti – Nel 2014 il Senato chiedeva anche al governo di destinare il maggior gettito che sarebbe derivato da quelle misure “alla riduzione della tassazione sui redditi, in particolare sul lavoro generato dalla green economy, alla diffusione e innovazione delle tecnologie e dei prodotti a basso contenuto di carbonio e al finanziamento di modelli di produzione e consumo sostenibili“. Allo stesso modo, in questa manovra è previsto anche un credito d’imposta del 10 per cento per tutto il 2020 per le spese delle imprese del settore della plastica e degli imballaggi “per l’adeguamento tecnologico finalizzato alla produzione di manufatti biodegradabili e compostabili”. Inoltre, il Green New Deal del governo prevede investimenti per 55 miliardi in 15 anni.

Orlando: “Non c’è più tempo da perdere” – “Le polemiche sterili fanno capire che una manovra fortemente ecologista ma allo stesso tempo equa e che aiuta la ripresa di competitività del paese, infastidisce perché mette in discussione interessi consolidati”, scrive su Facebook il vicesegretario Pd Orlando. Il riferimento è proprio a Renzi che ha promesso battaglia in Parlamento sulla plastic tax, ma anche sulle tasse sulle auto aziendali inquinanti. “Tutti ormai hanno capito che non c’è più tempo da perdere – prosegue Orlando – se vogliamo salvaguardare la salute dei nostri cittadini e la vivibilità del pianeta per le giovani generazioni. Tutti sanno quali problemi ha generato l’uso illimitato della plastica. Ci sono ormai interi continenti di questo materiale che galleggiano negli oceani e che, dopo aver compromesso interi ecosistemi, finiscono nella nostra alimentazione. Bisogna quindi urgentemente modificare il sistema produttivo, le caratteristiche dei prodotti e la loro gestione dall’inizio alla fine. Per questo le misure di incentivo ai materiali biodegradabili contenute in questa manovra di bilancio sono importanti. Un primo passo nella giusta direzione. Così come è giusto che a pagare questi incentivi siano proprio le plastiche che dovremo progressivamente superare. Nella manovra, peraltro, non c’è una tassa sulla plastica ma sulla plastica monouso utilizzata negli imballaggi“, aggiunge Orlando.

Un’impresa su tre oggi investe nel green – “Non va forse nella direzione di quel pacchetto UE per l’economia circolare?”, si chiede ancora il vicesegretario Pd. Una realtà che in Italia vale già 3 milioni di posti di lavoro, come riporta il decimo rapporto GreenItaly realizzato da Unioncamere e Fondazione Symbola. Le imprese che, negli ultimi cinque anni, hanno investito in prodotti e tecnologie per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni di CO2 sono 432mila, il 31,2% del totale. “I dati parlano chiaro. Una impresa su tre ha imboccato la strada della sostenibilità, 90mila in più dello scorso anno. E questa scelta si traduce in una maggiore produttività e competitività e in più capacità di innovazione e di export”, ha affermato il segretario generale di Unioncamere, Giuseppe Tripoli.

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