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Afghanistan, il progetto che aiuta le bambine in carcere per “reati morali”: “Detenute per essersi ribellate a nozze forzate e convenzioni sociali”

Nawal ha 16 anni e vive a Kabul, in Afghanistan. A maggio è stata arrestata e portata in carcere con l’accusa di adulterio. La sua famiglia l’ha data in sposa quando aveva solo 10 anni e l’ha costretta a vivere con un uomo molto più vecchio di lei, più anziano del padre. Il marito l’ha poi accusata ingiustamente di adulterio, dopo che aveva perso il loro bambino. Quella di Nawal non è una storia isolata. Accade tutti i giorni in Afghanistan. Amina, Nur, Samia sono solo alcuni dei nomi delle bambine ingiustamente detenute in carcere. Per questo la ong italiana Ciai, che si occupa di sostegno all’infanzia e adozioni internazionali, grazie al supporto di Only The Brave Foundation, ha avviato un progetto a Kabul e a Herat che si chiama Bambine senza paura. “Bambine – spiega la ong in un comunicato – che vengono private della loro libertà per avere avuto il coraggio di ribellarsi d un matrimonio forzato e prematuro, a convenzioni sociali che le costringevano a una vita senza speranza, privandole della possibilità di andare a scuola, vivere in autonomia, fare delle scelte indipendenti e realizzare le loro aspirazioni. Quello che per noi appare come legittimo, in Afghanistan è reato morale”.

Al progetto lavora un team di professionisti multidisciplinari, che assiste le ragazze e le bambine cercando di avviarle su un percorso che ha nell’educazione il suo centro. Oltre a offrire loro sostegno psicologico, attività formative, viene fatto anche un lavoro con le autorità locali civili e religiose per far conoscere le possibilità che la legge offre per tutelare i diritti delle bambine. Gli avvocati d’ufficio assegnati alle bambine sono accompagnati nella corretta istruzione della pratica. Anche le famiglie sono coinvolte, per sensibilizzarle e per guidarle nel reinserimento della figlia, laddove sia possibile e auspicabile. L’obiettivo è trasformare “una detenzione ingiusta in un’occasione di rinascita. Si interviene sulle bambine detenute, sulle famiglie, sulle autorità civili e religiose, su chi amministra la giustizia. Per dare un futuro a loro e al Paese”.