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Domenica In, la mamma di Marco Pantani: “Sono convinta che l’hanno ucciso. Faceva uso di cocaina, ma non era dopato”

La madre del "pirata", il campione di ciclismo trovato senza vita nel suo appartamento il 14 febbraio del 2004, è stata ospite di Mara Venier. La donna sostiene da sempre che suo figlio non si sia suicidato e ancora oggi, a distanza di anni, continua a lottare per ottenere la verità sulla sua morte

di F. Q.

Ho tanti dubbi, quando ho saputo della sua morte ho sempre pensato che l’avessero ucciso e oggi di più. Lui amava troppo la vita. È morto e non si è fatto sentire nessuno, neanche la federazione. Lo hanno lasciato solo, ci hanno lasciati soli”. A dirlo in diretta a Domenica In su Rai 1 è Tonina Pantani, la madre di Marco Pantani, il campione di ciclismo trovato senza vita nel suo appartamento il 14 febbraio del 2004. La donna sostiene da sempre che suo figlio non si sia suicidato e ancora oggi, a distanza di anni, continua a lottare per ottenere la verità sulla sua morte, che i giudici in tribunale hanno attribuito a un’overdose di cocaina. “Marco ha cantato fino agli ultimi giorni, aveva il Karaoke in casa, era una persona tranquilla. La cosa che mi ha dato fastidio è stato il modo in cui si sono accaniti su di lui, l’unica cosa che lo feriva era quando lo si colpiva nel suo orgoglio”, ha raccontato Tonina ricordando gli ultimi giorni di vita del “pirata”.

In particolare l’ultima volta che l’ha visto vivo: “Lui va a Milano per qualche giorno, la manager mi chiama e mi dice che ha assunto cocaina e di andare a Milano. Andiamo io e mio marito e li vediamo litigare, poi sono svenuta e non ho più visto Marco, l’ho rivisto morto“, ha detto commossa a Mara Venier. Il dolore più grande però, la madre lo ha provato all’indomani della squalifica di Pantani nel 1999, quando, dopo un’analisi del sangue che restituì dei valori di ematocrito troppo alto, fu accusato di essere positivo al doping: “Inizialmente pensava che fosse un altro Marco ad essere stato squalificato, si arrabbiò molto e andando via fece un secondo esame in cui l’ematocrito era come quello della sera, cioè perfettamente nella norma. Quello che mi ha dato più fastidio di questa faccenda è che dopo il ’99 hanno detto di tutto e di più – ha spiegato Tonina Pantani -. L’hanno fatto passare per doping, ma quell’esame col doping non c’entrava niente. Marco ha fatto tanti anni di ciclismo e non ha mai avuto una sospensione, un richiamo. Non ha mai fatto scorrettezze, perché farle proprio in quel momento?”.

Dopo la squalifica del ’99, ha proseguito Tonina Pantani, “Marco decise di chiudere per sempre con il ciclismo. Un giorno, però, pensò di rimontare in sella per fare un giro in città, prima di rientrare col morale a pezzi e completamente in lacrime: piangeva, gli dissi: ‘che cos’hai?’; mi disse: ‘per la strada mi danno del dopato’. Dal ’99 al 2004 – ha ricordato ancora – una vita d’inferno. Tra me e Marco non c’era neanche bisogno di parlare, però l’avevano ferito nell’orgoglio. Gli avevano dato un’etichetta che non gli toglieva più nessuno”.

La madre ha ribadito poi che è stata proprio quell’etichetta di “dopato” che gli era stata data a distruggere Marco Pantani e spingerlo nel tunnel della droga: “Dopo il giro ha iniziato con la cocaina, poi ne era uscito. Io ho fatto di tutto, sono andata anche a litigare con gli spacciatori, ma alla fine lui stava bene. Ha portato avanti battaglie legali per capire chi lo avesse drogato, ma non lo ha mai scoperto. Non mi venissero a dire che era un debole, era un forte”.

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