Società

Joker, alcuni miei pazienti si riconoscono nella sua distruttività. Ma è da lì che inizia la rinascita

A 17 anni Maria aveva raggiunto il massimo della sua bellezza fisica e notorietà nella piccola cittadina. Cantava in una band di amici e la sua bella voce attirava molte persone nei concerti parrocchiali o nelle feste di paese. Sognava un futuro come cantante nel mondo dello spettacolo. Verso i 18 anni scoppiò una bomba familiare, in quanto emerse che il padre aveva una relazione extraconiugale e la madre, in un impeto distruttivo, non potendolo perdonare lo sbatté fuori di casa.

Maria era molto legata al padre e si sentiva dilaniata dalla richiesta, non esplicita ma nascosta, della madre di creare un blocco contro di lui. Maria non voleva parteggiare per nessuno dei due genitori ma sentiva intimamente che la mamma era troppo fragile, sull’orlo di un grave malessere, per cui, suo malgrado interruppe tutte le relazioni col padre. Dopo alcuni mesi Maria cominciò a vedersi imbruttita. Il naso in particolare, a seguito di un piccolo incidente in motorino, non era più come quello di prima. Fissava con insistenza questo naso e il labbro superiore che vi si raccordava riconoscendovi delle imperfezioni, anche se tutti affermavano che era un naso bello come prima.

Smise di ridere, di frequentare gli amici e infine anche di cantare. Per una settimana si chiuse in casa e arrivò alla triste conclusione che nessuno l’aveva ricercata. Tutto il mondo poteva tranquillamente fare a meno di lei. Decise di lasciarsi morire di inedia non mangiando più fino alla morte. Quando arrivò a pesare 39 chili i genitori si attivarono, assieme come lei inconsciamente desiderava, per portarla dal medico. Ho parlato in questi giorni con questa ragazza che mi ha raccontato la sua storia e mi ha confessato di essersi immedesimata, durante la proiezione del film, con il personaggio impersonato da Arthur Fleck.

Nel film Joker il protagonista vive una profonda sofferenza che potremmo definire in termini medici “de-individualizzazione”. Non si tratta di un mero periodo depressivo, ma piuttosto della sensazione di non essere nessuno in una società di massa che ti usa e non ti riconosce come individuo. La funzione desiderante del personaggio è stata manipolata in modo oramai definitivo e lui non sa più perché vive. La risposta drammatica è abbandonarsi all’istinto di morte, in una rielaborazione del mito di Sansone che afferma “muoia Sansone con tutti i filistei” mentre distrugge il tempio. Questo schema distruttivo viene ripetuto, in varianti continue, in altri film di grande successo in cui il protagonista perde ciò che aveva di più caro – famiglia, figli o amore – e arriva alla decisione estrema di vendicarsi e autodistruggere se stesso assieme ai nemici.

Anche ognuno di noi, seppure in modo meno drammatico e ultimativo, in vari momenti della propria vita scopre di essere solo, avverte il timore che gli amici ci siano “perché li chiamo sempre io o perché hanno un tornaconto”. In fin dei conti, se non ci facessimo vedere, ben presto tutti gli amici se ne farebbero una ragione e in una società di massa ci sostituirebbero con nuove amicizie. L’amore può riservarci delusioni perché scopriamo tradimenti oppure piccoli egoismi nel nostro partner. Avvertiamo come la relazione non sia eterna, come l’avremmo desiderata nei nostri sogni infantili, ma precaria “finché dura la voglia di stare insieme”. Anche i genitori ci possono deludere e scopriamo in loro l’egoismo.

Insomma capita a tutti di sentire un senso di solitudine esistenziale e di percepire che la nostra individualità, tanto sbandierata, non è altro che un prodotto manipolato della società dei consumi. Addirittura ciò per cui abbiamo lavorato per anni della nostra vita nella ricerca del successo, di denaro o fama è frutto di una manipolazione che ci è stata imposta.

Riconoscere questa sensazione, che fa parte di una componente inconscia della nostra personalità, è fondamentale perché dalla distruzione deriva la rinascita e la possibilità di creare qualcosa di nuovo. Nel film Joker il protagonista rimane imbrigliato nella sensazione di non essere più un individuo, costruisce una sua immagine nuova, potenzialmente creativa, ma poi cade nella distruttività. Dovremmo insegnare ai giovani, soprattutto agli adolescenti che provano l’istinto di morte, a riconoscerlo nelle sue articolazioni.

Le sensazioni fisiche correlate all’istinto di morte sono caratterizzate dal provare a livello corporeo angoscia quindi tachicardia, respiro difficile, contrazione muscolare, tensione corporea. Le emozioni correlate all’istinto di morte sono caratterizzate da senso estremo di solitudine, sfiducia e tristezza. Sul piano razionale emerge l’idea di essere soli, che il mondo faccia schifo e che nulla ci sia da salvare. Riconoscere l’istinto di morte dentro di noi è fondamentale per non abbandonarsi ad esso ma poterlo trasformare in creatività.