È meravigliosamente indefinibile Light of My Life di Casey Affleck, che fluttua tra poli estremi trovando, tuttavia, una precisa collocazione nel cinema di qualità
Tra il racconto di sopravvivenza fantapocalittico e la tenera storia d’amore paterna per una figlia da proteggere ad ogni costo. È meravigliosamente indefinibile Light of My Life di Casey Affleck, che fluttua tra poli estremi trovando, tuttavia, una precisa collocazione nel cinema di qualità. All’origine dell’opera, che di fatto è un debutto registico nella finzione da parte di Affleck dopo il suo mockumentary del 2010 I’m still here dedicato all’ex cognato Joaquin Phoenix, è “la mia esperienza di padre di due figli, decisamente cambiata dal mio divorzio” spiega il 44enne attore premio Oscar (per l’indimenticabile Manchester by the Sea) giunto a Roma a promuovere l’uscita del film prevista per il 21 novembre dopo la preview nazionale in Alice nella Città.
“Il mio approccio parte dal racconto delle storie per la buonanotte, qualcosa con cui ogni genitore si confronta, e che gli fa passare del tempo buono coi propri figli”. Al centro di Light of My Life, infatti, è il percorso di fuga di un papà (chiamato nel film semplicemente Dad) e una bimba di 11 anni – Rag (la soprendente deb Anna Pniowsky) – dalla pandemia che colpisce il genere femminile: chiaramente anche Rag è a rischio, e Dad tenta con ogni mezzo di proteggerla da unico genitore rimasto in vita dopo che sua moglie (Elizabeth Moss) è morta per via della malattia. Connotato in un futuro distopico senza inizio né fine, il dramma esistenziale si tinge da fiaba ancestrale, immersa in un bosco senza tempo, sospesa nel presente di due persone che possono solo contare su loro stesse, su una fiducia reciproca di rocciosa solidità.
“Non sapevo che tipo di film avremmo fatto, sono partito dall’esperienza, dalla voglia di ascoltare e mettermi in gioco. Quando ho iniziato a scrivere Light of My Life, cioè parecchi anni fa, mi è venuto in mente il lavoro fatto con Gus Van Santsul set di Gerry, un film che racconta di due persone sole nel deserto in cui non accade nulla finché l’uno uccide l’altro. Io ero molto inquieto, non capivo il senso del film e Gus mi spiegò che per capirlo dovevamo guardarci attorno, ‘sentire’ ciò che stava accadendo: ecco il senso del film si sarebbe formato strada facendo, e l’avremmo capito solo arrivati alla fine, l’importante era che si lasciasse fare, un vero let it be. Questo ricordo mi ha sostenuto e confortato, non ho mai forzato i tempi e solo chiudendo la post produzione ho compreso che si tratta di un percorso sull’inevitabile perdita dell’innocenza, e quella ‘luce della mia vita’ si illuminava sempre più forte perché stava crescendo, stava diventando una giovane donna”. Bildungsroman “on the road” a doppia mandata, Light of My Life mescola con sapienza i generi (thriller, sci-fi, disaster movie, dramma esistenziale..) senza mai scadere in deboli retoriche da militanza politica, elemento che paradossalmente contribuisce a renderlo invece anche una solida opera politica, specie nei confronti della condizione femminile.
“Non potrei pensare un mondo senza donne – si anima il regista attore – e il #metoo ha cambiato tutto, a Hollywood come ovunque: non si può né deve più tornare indietro”. Se è vero che Casey ha parecchio attinto dal celebre The Roaddi Cormac McCarthya sua volta ispiratore dell’omonimo film di John Hillcoat (“anni fa McCarthy una volta mi è venuto a trovare su un set con sua moglie, semplicemente perché gli avevo scritto una lettera di ammirazione”) è altrettanto vero che Light of My Life sia un film radicalmente personale, vibrante di autenticità e originalità. E in attesa che inizi la stagione dei grandi premi cinematografici, da cui non sarà certamente escluso, l’opera di Affleck ha già il merito della scoperta di un talento, quello della giovane canadese Anna Pniowsky – “selezionata fra migliaia” – di cui sentiremo parlare negli anni a venire.