FATTO FOOTBALL CLUB - Il destino dell'attaccante del Brescia: essere sempre trattato da simbolo. Succede di nuovo (e di più) ora che sul campo per ora va così così: il suo coraggio (la pallonata contro i tifosi del Verona) permetterà al mondo del pallore di affrontare il problema. Forse
Una pallonata al razzismo. Sa un po’ di retorica, ma stavolta non è una metafora: Balotelli ha proprio calciato il pallone contro la curva del Verona. La solita curva dell’Hellas, quella nota per le sue simpatie di destra, che a metà anni Novanta appendeva un manichino nero impiccato dagli spalti per protestare contro l’acquisto dell’olandese Ferrier e un paio di decenni dopo ancora non perde occasione di fare cori e ululati contro gli avversari di colore. Era già successo a inizio stagione con Kessié, è capitato di nuovo con Balotelli. E no, non si tratta di “rimanere frastornati dai decibel del tifo gialloblù” (come aveva commentato la società), né di una “curva ironica”, come la definisce il presidente Setti. È proprio razzismo: i “buuu”, gli insulti, li hanno ripresi le telecamere, li hanno sentiti anche gli ispettori federali, non se li è inventati Balotelli. In settimana arriverà la decisione del giudice sportivo, in Italia se ne parlerà a lungo, con le solite condanne. Ma la vera domanda è: sarebbe stato lo stesso se lui non si fosse fermato, minacciando di uscire dal campo, e non avesse tirato quella pallonata in curva?
Il calcio italiano è razzista. È una considerazione che forse si potrebbe estendere anche al di fuori del pallone, ma non è questa la sede per farlo. Non lo scopriamo certo oggi, il problema è che troppo spesso ce ne dimentichiamo, quasi assuefatti agli episodi che si verificano ogni domenica e in molti casi passano inosservati, archiviati come incidenti. Dall’inizio del campionato ci sono stati ben undici casi di razzismo/discriminazione in Serie A. E questo solo a voler prendere in considerazione quelli registrati ufficialmente, tralasciando tutti gli altri che non finiscono nei referti perché non vengono sentiti (o qualcuno fa finta di non sentirli). È una media di uno ogni due domeniche, anche di più. Praticamente un’emergenza. Ma chi se li ricorda, chi li punisce?
A Brescia (insulti a sfondo razziale nei confronti di Pjanic) c’è stata la chiusura della curva per un turno, per altro sospesa dalla condizionale. A Bergamo la brutta storia dei cori contro Dalbert, per cui era stato anche sospeso il match, si è risolto con un buffetto di 10mila euro all’Atalanta. In altri casi, come Lukaku a Cagliari, nessuna sanzione. Adesso la Figc guidata da Gabriele Gravina ha cambiato la norma sulla responsabilità oggettiva, che lasciava i club sotto il ricatto degli ultras: se le società adotteranno dei protocolli specifici si vedranno riconosciute delle esimenti e attenuanti e quindi non saranno più punite (o lo saranno meno). Un provvedimento condivisibile, la soluzione è individuare i colpevoli e sbatterli fuori dagli stadi, ma che rischia nel frattempo di contribuire ad abbassare l’attenzione sul tema. Dieci giorni fa, ad esempio, cori razzisti avevano bersagliato Vieira durante Sampdoria-Roma: la Procura si è presa del tempo per “calibrare la responsabilità della società” alla luce delle nuove norme, possibile che la vicenda cada nel vuoto. E finisca nel dimenticatoio.
Di Verona invece ci ricorderemo. Grazie a Balotelli e alla sua pallonata. Come ci ricordiamo a distanza di un anno di Inter-Napoli e dell’espulsione di Koulibaly, un episodio come ce ne sono tanti eppure diventato esemplare. Per scuoterci dalla ordinarietà del razzismo nel pallone abbiamo bisogno di gesti plateali, che non tutti hanno il coraggio, la personalità o le spalle abbastanza larghe per fare.
Abbiamo bisogno (anche) di Balotelli. È un po’ la sua maledizione: essere trattato sempre da simbolo e mai da semplice calciatore, come invece dovrebbe essere considerato. Succederà anche stavolta, per il suo ennesimo ritorno, fin qui più mediatico che calcistico. Qualche partita saltata, condizione precaria, solo due gol segnati, quello di ieri bellissimo ma inutile per il suo Brescia ultimo in classifica. Nella sua città lo aspettavano come il salvatore per la patria, la Serie A lo ha riabbracciato sperando di ritrovare un grande campione (e magari l’attaccante della Nazionale ai prossimi Europei). Nulla di tutto ciò, almeno per ora il Balotelli III è piuttosto deludente. Ma comunque importante: bentornato “Super Mario”, il calcio italiano ha ancora bisogno di te. Non solo come calciatore.