Molto si è discusso, anche in Italia, della sentenza dell’Audiencia di Barcellona sulla Manada, il branco di giovani che a Manresa, agglomerato industriale alle porte del capoluogo catalano, ha consumato reati sessuali in uno squallido opificio dismesso su una ragazzina di appena 14 anni.
Nella sentenza del tribunale si è ha affermato il seguente sillogismo: se la vittima dell’atto era incosciente, chi ha agito non ha esercitato né violenze né intimidazioni. In mancanza di tali due elementi l’azione non può qualificarsi come aggressione bensì come abuso.
La chiave del processo è il concetto di intimidazione, argomento non nuovo per la giurisprudenza spagnola: il Tribunal Supremo di Madrid aveva già interpretato le norme penali interne in analoga questione di violenza di gruppo consumata, stavolta, durante i festeggiamenti del luglio 2016 in onore di San Fermino a Pamplona (Navarra).
In quel caso l’Alta Corte aveva ritenuto che, se la vittima è incosciente, l’aggressore non ha necessità di intimidirla. Tuttavia si considerò che la vittima del branco di Pamplona, una ragazza che da poco aveva raggiunto la maggiore età, fosse stata oggetto di aggressione: un passaggio della sentenza spiega chiaramente che “l’intimidazione non deve essere di livello tale da risultare irresistibile o di gravità inusitata, bensì basta che sia sufficiente a raggiungere il fine proposto”.
In buona sostanza, in presenza di una intimidazione chiara non è necessario soffermarsi sul livello di resistenza della vittima: è l’azione che qualifica il fatto. Sulla base di questo principio il Supremo di Madrid riformò le sentenze rese dalle corti regionali della Navarra qualificando il delitto come violenza e non come abuso continuato.
In Spagna le prime pronunce sul caso della Manada di Pamplona provocarono diffuse indignazioni, sfociate in partecipate proteste di piazza. Quei fatti scossero il Congresso al punto che le principali forze politiche presentarono disegni di legge per ridisegnare le disposizioni penali in tema di violenze sessuali. La commissione parlamentare da oltre un anno discute del superamento della distinzione tra aggressione e abuso, differenza che oggi crea confusione e talvolta distorsioni nelle corti.
La commissione – prima formata da soli uomini, ora riequilibrata nella sua composizione – aveva elaborato un testo che cancellava dal Codice penale il termine abuso sessuale contemplando tutti i delitti contro la libertà sessuale sotto il comune titolo “aggressioni sessuali”. Con la previsione di un’aggravante per la violenza consumata in ambito familiare o dall’ex coniuge, in linea con i principi della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne firmata a Istanbul nel 2011 e ratificata dalla Spagna. Accordo internazionale che peraltro non fa menzione del concetto di intimidazione e qualifica violenza sessuale tutti gli atti sessuali privi di un consenso che sia espressione del libero arbitrio.
La questione non è esaurita con la controversa sentenza di Barcellona: si tornerà a discutere nelle aule di giustizia, visto che i cinque condannati della Manada di Manresa hanno annunciato appello. Il progetto di riforma intanto è arenato, lo stallo istituzionale che da anni paralizza la Spagna non aiuta. Vedremo cosa accadrà nella nuova legislatura oramai alle porte.
E se dallo scrutinio elettorale del prossimo 10 novembre si registrerà, come indicano i sondaggisti, una ulteriore ascesa dell’ultradestra di Vox lo scontro potrebbe farsi più acceso. Uno dei punti cardine del programma della destra radicale è l’abrogazione della legge sulla violenza di genere, fonte, a dire del partito di Santiago Abascal, di ingiustizie, con discriminazioni al contrario in danno degli uomini, visti come vittime di un impianto di norme che favorisce azioni strumentali.
Solo pochi giorni e vedremo se la Spagna tornerà alla politica tirandosi fuori dalle sabbie mobili nelle quali è caduta.