Si assottigliano le speranze di vedere la nuova Commissione europea guidata da Ursula Von der Leyen in carica il 1° dicembre. L’ultimo intoppo è lo slittamento dell’incontro in cui la commissione giuridica (Juri) del Parlamento europeo avrebbe dovuto esaminare i conflitti di interesse dei commissari designati di Francia, Ungheria e Romania. La riunione prevista per il 6 novembre, hanno riferito fonti dell’Eurocamera, è stata rimandata in attesa di maggiori informazioni da parte della Commissione europea.
A mancare all’appello, dopo che la Francia ha candidato Thierry Breton e l’Ungheria Oliver Varhelyi, manca ancora il nome del commissario designato della Romania. La commissione Juri potrebbe riunirsi per valutare il conflitto di interesse dei commissari designati la prossima settimana, ma così diventano comunque più stretti i tempi per l’insediamento della Commissione von der Leyen il primo dicembre. Prima del via libera finale al nuovo Esecutivo comunitario nella plenaria del 25-28 novembre a Strasburgo, i commissari designati dovranno infatti superare lo scoglio dell’esame del conflitto di interesse (che ha già visto la bocciatura dei precedenti candidati ungherese e romeno), rispondere al questionario scritto, e sostenere le audizioni nelle commissioni competenti, dove nelle scorse settimane erano già stati bocciati tre candidati.
Bruxelles, tuttavia, professa ottimismo. “Riteniamo vi sia una finestra affinché la Commissione di Ursula von der Leyen” inizi il suo mandato “il primo dicembre”, anche se “a fissare il calendario delle audizioni sarà il Parlamento europeo”, ha detto Eric Mamer, portavoce del cosiddetto team di transizione (così viene indicata la Commissione entrante, in questa fase), che oggi, per la prima volta, è intervenuto al briefing di mezzogiorno.
I nomi proposti da Budapest e Bucarest non hanno superato le rispettive selezioni il 30 settembre. La romena Rovana Plumb, indicata per il portafoglio dei Trasporti, e l’ungherese Laszlo Trocsanyi, candidato all’Allargamento, sono stato dichiarati “non sono in grado di esercitare le proprie funzioni conformemente ai trattati e al codice di condotta“. La prima, parlamentare socialdemocratica, a causa di un caso di corruzione risalente al settembre 2017, quando fu accusata di aver favorito il leader del suo partito in un accordo immobiliare e a causa di “significative differenze tra quanto dichiarato in patria e quanto dichiarato alla commissione” a proposito di un mutuo da un milione di euro contratto in Romania.
Il candidato ungherese, invece, ministro della Giustizia del governo Orban, ha firmato controversa riforma dei tribunali voluta dal leader di Fidesz. Un provvedimento accusato da Bruxelles di minacciare lo stato di diritto: i nuovi tribunali previsti dalla legge, poi ritirata in extremis dal premier per evitare di essere espulso dal Partito popolare europeo, sarebbero finiti sotto il controllo politico perché il governo avrebbe avuto l’ultima parola sulla nomina di alcuni collegi giudicanti. La firma di Trocsanyi, inoltre, era finita in calce anche a provvedimenti tesi a limitare l’attività delle ong che si occupano di migranti, e quelli che hanno costretto la Central European University finanziata da George Soros a lasciare Budapest e trasferire la sede a Vienna.
Il 10 ottobre, poi, le commissioni Mercato interno e Industria del Parlamento europeo avevano negato il via libera alla nomina della francese Sylvie Goulard, designata commissaria Ue su indicazione di Emmanuel Macron. Nel suo secondo esame Goulard non ha convinto gli eurodeputati e le commissioni le hanno chiesto spiegazioni
sulle vicende legate al suo presunto ruolo in un sistema di falsi impieghi a Strasburgo: nominata ministro della Difesa nel 2017, si era dimessa dopo solo un mese in seguito all’inchiesta sul presunto abuso di pagamenti agli assistenti del Parlamento europeo da parte del suo partito, il centrista Mouvement Democrate. Un ex dipendente del partito aveva raccontato ai magistrati di aver beneficiato di un lavoro fittizio all’Europarlamento mentre in realtà lavorava nella sede del partito a Parigi.
Al suo posto il governo francese ha indicato il manager Thierry Breton, ma anche la sua nomina è in odore di conflitto d’interessi: Breton è amministratore delegato della società di informatica Atos.
Resta poi da definire la questione del commissario che, nonostante la Brexit, deve essere indicato dal Regno Unito. La nuova proroga concessa a Londra fino al 31 gennaio, per quanto flessibile (Londra ha cioè la possibilità di uscire anche prima di quella scadenza), impone la nomina di un commissario, fino a quando il Paese resterà membro dell’Ue. “Sono in corso contatti tra le autorità britanniche e la presidente eletta”, ha spiegato il portavoce Mamer, che tuttavia non è voluto entrare nei dettagli su come si intenda risolvere la questione.