Con il collaboratore parlamentare è stato fermato Accursio Dimino. Che negli anni ottanta, figurava tra i soci della Xacplast srl, una società di lavorazione della plastica. Dimino aveva il 10%, il 50% era di Laura Marino, cognata del boss Di Ganci, mentre il restante 40% era di Massimo Maria Berruti, ex ufficiale della Guardia di Finanza, poi avvocato della Fininvest di Berlusconi, quindi parlamentare del partito azzurro
Oggi è finito di nuovo in manette per associazione mafiosa. Ieri è stato addirittura tra i soci di Massimo Maria Berruti, ex finanziere, poi avvocato della Fininvest di Silvio Berlusconi e deputato di Forza Italia. È il curriculum di Accursio Dimino, capo della famiglia mafiosa di Sciacca (Agrigento), fermato dalla procura di Palermo mentre si stava preparando per partire verso gli Stati Uniti. Dimino viene intercettato più volte con Antonello Nicosia, esponente dei Radicali, condannato nel 1999 a dieci anni e sei mesi per traffico di stupefacenti e ora accusato di aver usufruito delle ispezioni nelle carceri siciliane della deputata Giuseppina Occhionero per fare da tramite tra i boss mafiosi in cella e i clan.
Alla fine degli anni ottanta, quando Dimino era l’autista di fiducia del capomafia Salvatore Di Ganci, i carabinieri trovarono il suo nome tra i soci della Xacplast srl, una società di lavorazione della plastica. Dimino aveva il 10%, il 50% era di Laura Marino, cognata di Di Ganci, mentre il restante 40% era di Massimo Maria Berruti, ex ufficiale della Guardia di Finanza, poi avvocato e componente dello staff legale di Berlusconi, quindi frontman della campagna elettorale in provincia di Agrigento, zona dove trascorreva le estati nella sua villa di Sciacca, prima di essere eletto parlamentare di Forza Italia nel 1996.
Berruti della Xacplast era socio fondatore. Poi nel 1988 la società cambiò oggetto statuto, trasformandosi in Maratur, agenzia di viaggi. Titolari erano la moglie diDi Gangi, Vincenzo Leggio, altro uomo d’onore del clan che oggi per gli inquirenti era guidato da Dimino. Fermato questa notte, visto che era pronto a darsi alla macchia verso gli Stati Uniti. “Vediamo di accelerare così me ne vado che non si può stare più”, diceva. Dopo lunghi preparativi la data era stata fissata: partenza prevista per il 5 novembre. “Me ne vengo a Roma perché poi l’altra settimana ancora vado in California”, diceva Nicosia intercettato. Secondo gli investigatori avrebbero potuto utilizzare “scali intermedi in paesi del Medio Oriente” e “documenti falsificati”. Per questo i pm della Dda di Palermo, nel giro di pochi giorni hanno dovuto formalizzare nero su bianco il fermo per cinque persone, tra cui i due che da tempo programmavano il viaggio Oltreoceano.
Di certo Dimino (detto Cussu Matiseddu) era tornato a reggere la famiglia di Sciacca con i vecchi metodi: intimidazioni, estorsioni, ricatti e minacce. Da sempre fedele ai corleonesi, quando nel 1993 fu arrestato nel blitz ‘Avana’, era uno dei punti riferimento del boss Salvatore Di Ganci (che gli aveva fatto da padrino di Cresima). Condannato nel 1996, fu scarcerato nel 2004 e nuovamente arrestato nel 2010. Anche Matteo Messina Denaro si era rivolto a lui per ordinare l’omicidio di due agenti della polizia penitenziaria in Sardegna, ma nelle carte di quell’operazione si trova anche il nome di un magistrato “che viaggia in Croma blindata targata Roma con scorta” e di “cancellieri che “scherzando, scherzando” sono in grado di “correggere i verbali di udienza”. “Ieri mi ha scritto una lettera”, diceva nel 2005 mentre si trovava in auto con un complice che chiedeva “Castelvetrano?”, e lui confermava leggendo “Affettuosi saluti..cose..rimane tra te, me e l’interlocutore”.
Dal 2016 era tornato in libertà e voleva ricominciare a darsi da fare. Gli investigatori lo hanno ascoltato catechizzare Nicosia sulla storia della mafia agrigentina. “C’erano persone con gli occhi chiusi” e succedevano “venti boom”, diceva riferendosi alla stagione degli omicidi di mafia. Ma soprattutto l’astio verso i collaboratori di giustizia. “Questo una cosa inutile è”, diceva riferendosi a Giuseppe Quaranta di Favara, divenuto collaboratore dopo l’arresto nell’ambito dell’operazione Montagna. “Poi ti faccio vedere a Mario Merola”, diceva riferendosi a Domenico Maniscalco, prima arrestato per mafia e poi scarcerato lo scorso 25 luglio dal gup di Palermo. “Quello cammina con il coso in petto”, diceva riferendosi al rischio che l’uomo – che portava una collanina – fosse imbottito di microspie.
Uno degli obiettivi era diventato l’imprenditore Paolo Cavataio, operativo nel settore ittico anche in alcuni paesi del Nord Africa. “È il più ricco di Sciacca”, raccontava Dimino che conversando con Nicosia aggiungeva “facciamocelo un giro li in Marocco e ce lo chiamiamo”. Addirittura Nicosia gli chiedeva: “Tu dici di levarlo di mezzo?. E il boss rispondeva: “Si”. E in effetti la spedizione – come confermato da Cavataio nel dicembre 2018 – ci fu. “Tu non mi conosci, tu non sai chi sono io”, avrebbe detto Dimino all’imprenditore raggiunto nei pressi del porto di Sciacca. Alla fine Cavataio si prese carico di fare alcuni lavori in un magazzino del boss di Sciacca che gli inquirenti definiscono “del tutto ingiustificati”.
Per andare negli Stati Uniti però tutto doveva essere organizzato come si deve. Tanto che furono attivati i canali con la famiglia di Castellammare del Golfo, città dalla quale storicamente provenivano molti mafiosi espatriati negli States. Nelle conversazioni fanno il nome di alcuni bar. Lì c’è un certo Sergio Gucciardi di Sciacca (“l’ha battezzato questo Cussu hai capito?”), ma Dimino era in cerca di ulteriori contatti perché “vogliamo fare una cosa insieme, ma senza fare gavetta”, diceva. “Non basta quanta gavetta, le regole, bisogna sapere se le hanno le regole”, ripeteva. Nel 2018 viene intercettato mentre diceva di voler “fare la guerra” e di fare “acchianare quattro cristiani”. “Vengono tutti per farsi la gita e se ne vanno”, aggiungeva. Poi i pm annotano due telefonate anomale, entrambe fatte il giorno dopo l’uccisione di Frank Calì’, ritenuto tra i membri della famiglia Gambino. A parlare era Leonardo Zinna, cugino di Dimino, da tempo emigrato negli States e tuttora in libertà. Ma da alcuni mesi l’intero carteggio è stato spedito all’Fbi che sta indagando sulle famiglie mafiose di New York.