Il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo ha escluso l’aggravante mafiosa, ma ha chiesto la condanna per aver aiutato l'ex parlamentare berlusconiano, ancora oggi latitante a Dubai
Tre udienze sono state necessarie al procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo per ricostruire cinque anni di processo “Breakfast” contro l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola. Nei suoi confronti il magistrato ha escluso l’aggravante mafiosa, ma ha chiesto la condanna a 4 anni e 6 mesi di carcere per aver favorito l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena, ancora oggi latitante a Dubai. Dopo un lungo processo si è conclusa, quindi, la requisitoria del pm che, nel 2014, aveva arrestato l’attuale sindaco di Imperia per aver tentato di aiutare Matacena a trasferirsi dagli Emirati Arabi in Libano, dove poche settimane prima era stato catturato Marcello Dell’Utri.
La pena più pesante è stata chiesta per Chiara Rizzo, la moglie del latitante Matacena che risponde non solo di procurata inosservanza della pena ma anche di intestazione fittizia. Il tutto aggravato dal favoreggiamento alla ‘ndrangheta. Nei suoi confronti, il pm ha chiesto 11 anni e sei mesi di carcere. Ricostruendo le numerose intercettazioni sue proprio con Scajola, secondo gli inquirenti, il progetto era quello di fare ottenere a Matacena l’asilo politico a Beirut dove l’ex ministro dell’Interno e Vincenzo Speziali avrebbero potuto godere di appoggi istituzionali. Speziali, che ha patteggiato la pena dopo un periodo di irreperibilità, infatti, è parente acquisito dell’ex presidente Amin Gemayel che, più volte e invano, è stato chiamato a deporre davanti al Tribunale di Reggio Calabria.
Il leader delle falangi libanesi non si è mai voluto sedere sul banco dei testimoni e questo non ha impedito al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo di porsi lo stesso alcuni interrogativi: “Sullo sfondo di questo processo c’è una domanda – dice il magistrato in aula – e cioè come sia possibile che un uomo che ha avuto responsabilità elevatissime in ambito pubblico, quale Scajola Claudio, possa essersi determinato a porre in essere una serie di condotte di aiuto in favore di un soggetto che pacificamente sapeva essere latitante?”. Domanda che, per il magistrato, necessità ancora di più di una risposta perché “siamo in presenza di un uomo di Stato con incarichi elevatissimi e quindi in grado di rendersi conto di cosa significhi agevolare la latitanza di un soggetto condannato in via definitiva per un reato molto grave quale è il delitto di concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Dobbiamo per forza chiederci perché lo ha fatto e soprattutto cosa ha fatto”.
L’inchiesta ha trovato la sua genesi in altre attività di indagine che hanno a che fare con Bruno Mafrici, il fantomatico avvocato e socio dell’ex tesoriere dei Nar Lino Guaglianone, titolare dello studio Mgim di via Durini a Milano. Lo stesso Mafrici che era in affari con l’ex tesoriere della Lega Nord Francesco Belsito. “Lavorando sulla sua figura, – aggiunge il pm – ci si è imbattuti in una serie di riferimenti verbali ai rapporti tra Mafrici e Matacena. Rapporti legati alla perdurante operatività finanziaria di Matacena. Dall’acquisizione dei tabulati telefonici dell’utenza francese in uso all’ex parlamentare emergeva un consistente traffico con due utenze intestate una al ministero dell’Interno e l’altra a Claudio Scajola. Siamo stati in grado di tracciare una serie di acquisizioni per arrivare a un circuito relazionale del Matacena che coinvolge Scajola. La vera natura del suo rapporto con i coniugi Matacena-Rizzo si ricava dalle decine e decine di intercettazioni e siamo ben oltre l’umana solidarietà nei confronti di un soggetto condannato in via definitiva”.
Parlando dell’aiuto che Scajola ha fornito a Matacena, il procuratore aggiunto Lombardo ha puntato il dito contro l’ex ministro: “Un latitante per mafia, e un latitante in generale, non si aiuta”. Cosa che Scajola, stando all’inchiesta della Dia, avrebbe fatto: “Tra lui e i coniugi Matacena c’era un rapporto che andava oltre la semplice amicizia. È un rapporto in cui Claudio Scajola ha ritenuto di fornire aiuto al latitante nonostante fosse ben consapevole che quel comportamento era penalmente rilevante. Sono rimasto estremamente colpito dall’insistenza con cui quest’uomo voleva fare qualcosa per aiutare un latitante di mafia”. Eppure Scajola non poteva non sapere: “La vicenda processuale di Matacena – sottolinea, infatti, il magistrato – si studia ormai nelle università e la sua famiglia la viveva, sulla propria pelle, da circa 15 anni. Era metabolizzata fino in fondo in relazione a quelle che potevano essere le conseguenze evidenti legate a un reato permanente che non si sarebbe prescritto. Se si prescriverà la pena, io questo non lo so. Ma questo non mi riguarda. Riguarda altre autorità di questo Stato”.
Il riferimento di Lombardo è alla polemica sul trattato tra l’Italia e gli Emirati Arabi per l’estradizione dei latitanti. Trattato di cui si discute da anni ma che le nostre istituzioni non hanno mai portato a termine lasciando, di fatto, l’ex parlamentare di Forza Italia alla sua latitanza dorata a Dubai. Matacena era stato fermato dalle autorità emiratine mentre, in arrivo dalle Seychelles, stava facendo scalo a Dubai: “Non era quello il luogo dove Matacena doveva sperare di ottenere accoglienza e quindi rifiuto all’estradizione – ribadisce il pm – Tutto quello che si fa in relazione al Libano è assolutamente reale e voluto”.
Sarebbe stata Beirut, infatti, la destinazione finale del latitante che avrebbe, così, seguito la scia di un altro importante esponente di Forza Italia, condannato anche lui per concorso esterno con la mafia e fuggito in Libano: “Il progetto di spostare Amedeo Matacena risultava collegato alla latitanza di Marcello Dell’Utri – aggiunge il magistrato – e Vincenzo Speziali era il soggetto incaricato di svolgere le funzioni agevolatrici che avrebbero consentito di avere risposte dalla Repubblica del Libano. Speziali non era un soggetto qualsiasi e Scajola lo sapeva benissimo, e soprattutto sapeva benissimo che Speziali aveva stretti rapporti con una delle principali personalità politiche del Libano dal quale era possibile avere determinate risposte. Speziali non è uno qualunque ma sa perfettamente e nel dettaglio quelle che sono le dinamiche interne a un determinato movimento politico di cui facevano parte tanto Scajola quanto Dell’Utri. Il suo rapporto con Claudio Scajola è una chiave di lettura importante in relazione alla vicenda di Dell’Utri”.
Stando le considerazioni fatte in aula bunker dal pm, quindi, “tra Dell’Utri e Matacena, dal punto di vista giudiziario non c’è nessuna differenza. Le operazioni vanno di pari passo e i meccanismi operativi sono gli stessi. Io ritengo che Matacena era pronto a spostarsi in Libano. Qui non siamo in presenza di condotte virtuali. Ma siamo in presenza di soggetti che, in relazione di un condannato per mafia, ipotizzano un asilo politico, un istituto che obiettivamente non può essere assolutamente invocato se il nostro è uno Stato di diritto certamente tra i più garantisti al mondo. La vicenda Libano è gestita da due persone, almeno allo stato individuate: Speziali e Scajola”. Quest’ultimo, – è il profilo dell’ex ministro dell’Interno tracciato dal procuratore Lombardo – “è il promotore di tutta una serie di iniziative. Era perfettamente consapevole delle dinamiche operative riferibili alla vicenda Dell’Utri che va in Libano perché Vincenzo Speziali è assolutamente affidabile e sa che i suoi rapporti sono reali. Questo elemento di conoscenza e di valutazione, che trasforma Vincenzo Speziali in un soggetto a cui credere, è lo stesso percorso che vive Claudio Scajola”.
L’ex ministro dell’Interno “sa che Speziali sta operando a favore di Marcello Dell’Utri – conclude il pm – e sa che, come l’operazione Dell’Utri è un’operazione in fase avanzata e realizzabile, lo stesso può avvenire per Amedeo Matacena”. Ritornando alle richieste di pena, oltre ai 4 anni e 6 mesi di carcere per Scajola e agli 11 anni per Chiara Rizzo, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo auspica la condanna a 7 anni e 6 mesi di reclusione anche la segretaria di Matacena, Maria Grazia Fiordaliso e il collaboratore Martino Politi. Il processo, quindi, è stato rinviato all’11 novembre quando inizieranno le arringhe della difesa.