La parlamentare, ex Leu ora Italia Viva, è entrata come testimone nel Tribunale di Palermo ed è accompagnata dall’avvocato Giovanni Bruno. Il suo collaboratore è stato fermato per associazione a delinquere di stampo mafioso
È entrata da testimone negli uffici della procura di Palermo la deputata di Italia Viva, Pina Occhionero, per essere rispondere alle domande degli pm della Dda nell’ambito dell’inchiesta che ha coinvolto, con l’accusa di associazione mafiosa, il suo ex collaboratore parlamentare, Antonello Nicosia, fermato ieri insieme al boss di Sciacca Accursio Dimino e altri tre uomini indagati per favoreggiamento. La deputata, ex Leu, accompagnata dall’avvocato Giovanni Bruno, è stata sentita per due ore. Nicosia, secondo gli accertamenti del Ros e della Guardia di Finanza, è entrato nelle carceri insieme alla Occhionero per incontrare i capimafia detenuti e portare all’esterno i loro messaggi. Quattro le visite nei penitenziari accertate in pochi giorni: il 21 dicembre 2018 a Sciacca, il giorno dopo a Trapani e ad Agrigento, i 1° febbraio a Tolmezzo (Udine). “Ho detto tutto quello che c’era da dire” ha spiegato la deputata. All’audizione era presenti il pm Francesco Dessì, l’aggiunto Paolo Guido e il pm Geri Ferrara.
Secondo l’Antimafia l’uomo, pregiudicato per traffico di droga, entrava in carcere insieme alla parlamentare, incontrava boss e portava all’esterno i loro messaggi. Durante le perquisizioni eseguite ieri sono stati sequestrati una carta di credito collegata a conti esteri – e patrimoniali e un’imbarcazione. Nel corso degli accertamenti è stato trovato il tesserino da collaboratore parlamentare. La deputata in una nota ha ringraziato la magistratura e spiegato che aveva interrotto la collaborazione dopo aver scoperto che Nicosia si spacciava per docente universitario. Il rapporto tra i due si era interrotto il 17 maggio scorso, ma prima dell’interruzione sono diverse le anomalie da segnalare come si evince dalla lettura del decreto di fermo emesso dalla procura.
In una intercettazione, per esempio, Nicosia la rimprovera di non fare nomi dei mafiosi visitati: “Non è che al telefono mi chiedi queste cose, neanche per scherzo. Perché vedi che andiamo a finire al Pagliarelli, stavolta ci portano lì”. Ovvero in carcere a Palermo, del resto stando agli inquirenti l’uomo, cui la Dda contesta il 416 bis, si era avvicinato all’inizio del 2019 con l’obiettivo di “formalizzare una collaborazione con la Camera dei deputati per poter raggiungere i detenuti al 41-bis”. La deputata gli aveva offerto un contratto dopo che l’attivista radicale le aveva preparato “un’interrogazione parlamentare”, come spiega lui stesso in una intercettazione del 4 gennaio scorso: “Io le ho detto: ‘Mi fai un contratto come assistente parlamentare, ma anche senza soldi, per entrare e uscire dalle carceri e basta’”. E ancora: “Mi giro le carceri, visto che non potevo entrare, così con lei entro, vado al 41-bis. Faccio un sacco di cose, hai capito? Ho trovato questo escamotage”. Per gli inquirenti però quelle visite non avevano un fine così nobile, bensì servivano “per monitorare lo stato d’animo dei singoli mafiosi detenuti, dissuaderne eventuali iniziative collaborative e veicolare informazioni fra i detenuti e l’esterno”. Non solo. Nicosia usava anche toni duri con la donna che era il suo datore di lavoro. Come il 7 marzo quando le dice: “Onore’ non parlare a matula (inutilmente, ndr), Santo Sacco (detenuto considerato vicino a Matteo Messina Denaro, ndr) non sbaglia, il braccio destro del primo ministro (Messina Denaro, ndr), non sbaglia, non sbagliare a parlare tu”. E poi: “Onore’ non è che fai finta che non capisci le cose e te le facciamo passare liscia. Non è permesso, altrimenti il cous cous a Selinunte non te lo puoi mangiare manco se porti Bersani…”.