L'ex premier, dopo aver sostenuto solo il 22 ottobre scorso insieme a Pd e 5 stelle lo stop all'immunità penale dell'azienda, oggi fa marcia indietro. L'ex ministro Calenda: "Rischiamo di perdere la più grande acciaieria d'Europa perché la maggioranza ha voluto assecondare il M5s"
Da una parte Matteo Renzi (e in parte il Pd) ci ripensano e spingono per trovare il modo di “reintrodurre lo scudo penale” per l’ex Ilva e cercare di evitare l’addio di ArcelorMittal annunciato nelle scorse ore. Dall’altra il premier Giuseppe Conte e il ministro Stefano Patuanelli insistono dicendo che “saranno inflessibili” e non intendono tornare sui loro passi. Allora l’ex premier e leader di Italia viva cerca di aggiustare il tiro: “Togliamo alibi a Mittal”, ha scritto su Twitter, “e noi siamo pronti su scudo penale (eliminato dal governo precedente). Ma quando Conte dice che Mittal deve onorare il contratto, noi stiamo con il premier. Se recede paga Mittal, non lo Stato. Stiamo con chi cerca lavoro non con chi cerca visibilità”. In realtà il voto per togliere lo scudo penale è avvenuto a Palazzo Madama il 22 ottobre scorso e ha visto a favore M5s, Pd e proprio i renziani di Italia viva. Il clima dentro la maggioranza è molto teso, tanto che il capogruppo Pd in Senato Andrea Marcucci è arrivato a chiedere che il presidente del Consiglio riferisse in Aula. La richiesta, avanzata poi dal centrodestra, è stata bocciata dalla maggioranza: a riferire sarà giovedì 7 novembre il ministro Stefano Patuanelli.
Il voto che ha tolto lo scudo penale – Il 22 ottobre scorso la maggioranza ha votato in commissione al Senato per l’eliminazione dello scudo. Tutto era nato da un emendamento di 17 senatori dei 5 Stelle, con prima firmataria l’ex ministra per il Sud Barbara Lezzi. Una proposta secca per eliminate le tutele legali dal decreto aveva ripristinate. Presto si è capito che a sostenere la soppressione dello scudo era un gruppo ampio di senatori 5 stelle, come avrebbero confermato gli stessi ministri M5s alla fine del Consiglio dei ministri terminato in nottata. Da qui l’accordo di maggioranza. Un’intesa in cui era rientrato l’ordine del giorno di Pd e Iv, con il quale si impegnava il governo a garantire la permanenza in Italia di Arcelor Mittal. Un impegno che per i dem le parole di Patuanelli avrebbe rispettato. E così per Iv.
Gli emendanti di Italia viva e del Pd per fare il passo indietro – Il primo a rimangiarsi quanto fatto nelle scorse settimane è stato l’ex premier Matteo Renzi. “Il problema”, ha scritto sulla sua e-news, “è che io ritengo che Mittal se ne voglia andare e stia cercando pretesti. Qui il problema è capire se qualcuno vuole chiudere Taranto per togliersi dai piedi un potenziale concorrente. È un rischio che molti hanno evocato fin dai tempi della gara, nel 2017. Ma proprio per questo credo che si possa agevolmente recuperare la questione dello scudo penale anche con un emendamento al decreto fiscale che sta per arrivare in Parlamento (lo ha già preparato la collega Lella Paita e lo firmeranno molti di noi)”. Ma non è solo Renzi a cercare di ritornare sui suoi passi. Poco dopo è intervenuto il capogruppo alla Camera del Pd Graziano Delrio associandosi alla posizione del leader di Italia viva: “Prima vengono i lavoratori”, ha detto all’agenzia Ansa. “Abbiamo già preparato un emendamento per ritornare alla situazione precedente in ex-Ilva e togliere ogni pretesto a chiunque”.
Sempre Renzi, all’interno della sua e-news, ha rivendicato i suoi vari interventi dei mesi passati: “Per tenere aperta Ilva”, ha scritto sempre nella enews, “ho firmato dodici decreti, raccolto insulti dei miei ex compagni di partito che mi hanno accusato di essere l’omicida dei bambini di Taranto, perso voti e ricevuto minacce di ogni genere. L’ho fatto e lo rifarei perché se Ilva chiude, chiude l’intera industria del Mezzogiorno. Dunque: è incredibile sentirmi dire che io voglio chiudere Ilva dagli stessi che tacevano quando venivo insultato per il contrario. Sono vaccinato rispetto agli insulti ma rimane il disgusto per la viltà di certe polemiche”. E ancora: “Che cosa sta accadendo? Ieri la proprietà di Ilva, gli indiani Mittal, ha annunciato il recesso. Se ne vogliono andare. Io sostengo che lo abbiano previsto da tempo e usino la scusa della rimozione dello scudo penale (scelta sbagliata del governo Conte 1, scelta ancora non sanata – purtroppo – dall’attuale maggioranza) per andarsene. Parlare dello scudo penale significa guardare il dito mentre il dito indica la Luna. Qui il problema è capire se qualcuno vuole chiudere Taranto, uno degli stabilimenti potenzialmente migliori in Europa, per togliersi dai piedi un potenziale concorrente. È un rischio che molti hanno evocato fin dai tempi della gara, nel 2017″.
L’ex ministro Calenda: “Un governo di cialtroni” – Contro il governo si è scagliato l’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda: “Questi sono un branco di dilettanti allo sbaraglio che non ha mai lavorato un giorno fuori dalla politica, non sa cos’è una fabbrica, non sa cosa costa farla, cosa costa mantenerla. La parola giusta è cialtroni. Lo scudo penale è stato rimosso perché a un certo punto il Pd, dopo aver messo lo scudo penale, ha deciso di compiacere Barbara Lezzi e 15 senatori del Movimento 5 stelle, quindi noi rischiamo di perdere la più grande acciaieria Europea, il più grande impianto del mezzogiorno, il più grande investitore da 4,2 miliardi da 40 anni a questa parte. Non so se questa vi sembra una cosa da fare, ho lavorato 3 anni per far arrivare questo investitore a Taranto”.