Anche se il processo a carico di Umberto Bossi e Francesco Belsito si è concluso con la prescrizione, secondo i giudici della Cassazione non è censurabile la sentenza d’appello sulla sussistenza del reato
La truffa ai danni dello Stato ci fu eccome e il partito non fu estraneo al pasticcio dei 49 milioni. Anche se il processo a carico di Umberto Bossi e Francesco Belsito si è concluso con la prescrizione, secondo i giudici della Cassazione non è censurabile la sentenza d’appello sulla sussistenza del reato. Il 6 agosto scorso la Suprema corte ha dichiarato prescritto il reato, facendo cadere la confisca a carico dei due, ma non quella di 49 milioni a carico della Lega su cui c’è stata una durissima battaglia legale.
Agli imputati venivano contestati i ritocchi sui rendiconti relativi al 2008, 2009 e 2010 in base ai quali erano stati chiesti i rimborsi elettorali. La Corte d’appello di Genova, che aveva inflitto 1 anno e 10 mesi a Bossi e 3 anni e 9 mesi a Belsito, contestava la “falsa riconduzione a spese di partito di uscite di denaro che hanno costituito oggetto di condotte illecite di singole soggetti”. Nella sentenza, in 76 pagine, i giudici citano ampi stralci della sentenza d’appello, ritengono che con “logica motivazione” i magistrati dell’appello hanno spiegato “le ragioni per le quali ‘le macroscopiche omissioni e gli inadempimenti rilevati’ non fossero riconducibili’ ad una negligente, errata o difforme tenuta della contabilità delle spese del partito, bensì ad un sistema contabile caotico ed incontrollabile, gestito in modo da occultare la destinazione ad illeciti fini privati di consistenti somme uscite in contanti dalle casse e dai conti correnti del partito”.
Secondo la tesi delle difese, quello che si definisce rimborso elettorale è finalizzato non solo alle campagne elettorali ma anche alle attività svolte dal partito a valle delle competizioni, essendo determinato sulla base dei voti conseguiti e non dai costi sostenuti, con la conseguente assenza di un vincolo di destinazione. Un assunto smentito dai giudici d’appello. E anche dalla Cassazione, che ritiene ineccepibile il ragionamento della sentenza, pur dovendo constatare la prescrizione, maturata già prima della presentazione dei ricorsi. “Resta ferma”, precisa poi la Cassazione, “la statuizione che peraltro non ha formato oggetto specifico di impugnazione, relativa alla confisca diretta del profitto dei reati (la somma di 48.969.617 euro, pari ai rimborsi erogati negli anni 2010, 2011 e 2012), disposta nei confronti della Lega Nord, che dette somme percepì in ragione delle condotte delittuose poste in essere dal suo legale rappresentante o da altro organo dallo stesso incaricato, cosicché ai fini della confisca – come anche in questo caso correttamente affermato dai giudici di merito – il partito non può essere considerato estraneo al reato“.