I nuovi migranti climatici potrebbero diventare 143 milioni. A questi, si sommano le migrazioni interne dovute a eventi estremi come inondazioni o cicloni, che hanno già coinvolto oltre 24 milioni di persone già nel 2016, e gli effetti della desertificazione, che colpisce in 100 Paesi circa un miliardo di persone. Il 25 per cento della popolazione mondiale, inoltre, rischia di non avere acqua a sufficienza e si conteranno entro il 2030 ulteriori 250mila morti l’anno per malnutrizione, malaria e ondate di calore. È il quadro emerso dalla “Relazione sullo stato della green economy 2019”, documento centrale degli Stati Generali della Green Economy, conclusi di recente alla Fiera di Rimini, nell’ambito dell’esposizione dell’economia per l’ambiente Ecomondo.
Secondo lo studio, il pianeta sta marciando verso i 3 gradi di aumento della temperatura entro fine secolo, un livello pericoloso, che supera i 2 gradi previsti dall’accordo di Parigi, e che potrebbe avere gravi conseguenze, i cui costi saranno sopportati per il 75-80 per cento dai Paesi in via di sviluppo. Il cambiamento climatico nel 2017 ha causato 712 eventi meteorologici estremi, con perdite economiche per 326 miliardi di dollari, quasi il triplo del 2016.
Lo sviluppo delle fonti rinnovabili, una possibile soluzione alla crisi ambientale, è troppo lento: nel 2018 hanno fornito solo il 26 per cento dell’elettricità globale e soddisfatto solo il 10 per cento della domanda di raffreddamento e riscaldamento. La penetrazione delle rinnovabili nei trasporti, inoltre, è ancora marginale, dato che nel 2018 ha rappresentato solo il 3,3 per cento. Gli investimenti in questo settore addirittura diminuiscono: nel 2018 sono stati dell’11,5 per cento in meno rispetto al 2017.
Tra il 1970 e 2017, tassi di crescita eccezionali si sono invece verificati tra i materiali non rinnovabili, in particolare i minerali industriali e da costruzione (+376 per cento). Nello stesso periodo, il consumo di metalli è più che triplicato. L’impatto dell’Asia sulle risorse materiali è aumentato dall’inizio degli anni Duemila a causa della rapida industrializzazione di Paesi come la Cina e l’India: basti pensare che l’estrazione complessiva di materia in Cina è cresciuta di oltre il 1.400 per cento tra il 1970 e il 2017, e corrisponde a un terzo dell’estrazione globale di materie prime. La tendenza è principalmente sostenuta dall’estrazione di metalli (+4.300 per cento) e minerali (+3.800 per cento).