di Laura Quarà *
La trasformazione digitale rappresenta un evento epocale e può contribuire a migliorare i prodotti e servizi di un’azienda, creando un vantaggio competitivo rispetto ai competitors. Non rientrando molte competenze nei “mestieri tradizionali” le aziende dovranno acquisire queste risorse dal mercato del lavoro, ma i professionisti digitali non sono facilmente reperibili perché la domanda è elevata rispetto ad un’offerta ancora limitata.
Per comprendere queste nuove professioni occorre partire da alcune definizioni. Ad esempio: cosa sono i Big Data? Secondo la definizione dell’Osservatorio Big Data del Politecnico di Milano, sono “grandi volumi di dati eterogenei per fonte e formato, analizzabili in tempo reale, definibili con 5 caratteristiche: Volume, Velocità e Varietà (il cosiddetto modello delle 3V dei Big Data), Veridicità e Variabilità”.
Il mercato dei Big Data in Italia presenta un tasso di crescita del 26% e il 56% delle aziende ha già in organico alcune figure professionali quali il Data analyst, il 46% di Data scientist, il 42% di Data engineer. Prendiamo una di esse, ad esempio il data scientist, come campione rappresentativo di queste professioni.
Il data scientist può essere definito come la figura professionale che gestisce i Big Data (i dati grezzi) e ne trae informazioni rilevanti per le diverse necessità aziendali: strategie di business, di marketing e di vendita, definizione di nuovi prodotti e servizi, ecc. Il profilo del data scientist è piuttosto tecnico poiché dovrà avere conoscenza di modelli matematico-statistici e algoritmi (soprattutto di machine learning) e dei linguaggi di programmazione necessari per implementarli, come R o Python. Inoltre dovrà possedere competenze di business intelligence, di semantica, di ontologie per la gestione delle informazioni, di metodi e tecnologie per la gestione di progetti data-driven innovativi.
Questi professionisti solitamente possiedono una conoscenza avanzata delle tecniche di data mining come il clustering, l’analisi della regressione, gli alberi decisionali e le macchine vettoriali di supporto. Una laurea avanzata (come un master o un dottorato di ricerca) in informatica è solitamente richiesta per questo tipo di posizione. Servono anche competenze trasversali a seconda del settore in cui si lavora: le skill necessarie nel marketing sono diverse da quelle per la pubblica amministrazione o l’industria delle telecomunicazioni. Lo ha evidenziato la società di ricerche Gartner già in uno studio del 2016, dove ha definito “multidisciplinare” la preparazione del data scientist in quanto si colloca tra macroaree diverse (dalla statistica alla ricerca tradizionale, dal data engineering al marketing).
Tra i settori che possono aver bisogno dei data scientist ci sono: finanza (dove si occupano anche di rilevazione di frodi, sicurezza e compliance), e-commerce (aiutano le aziende a migliorare il servizio clienti, riconoscere le tendenze e sviluppare servizi o prodotti su misura), pubblica amministrazione (per offrire un servizio in linea con le esigenze dei cittadini), social media (per il miglioramento dei servizi offerti e la definizione delle campagne pubblicitarie) e ancora sanità, ricerca scientifica, telecomunicazioni.
Anche la selezione del personale è coinvolta in questa trasformazione, non solo perché utilizza lei stessa i big data per rendere più efficienti e mirati i suoi servizi alle imprese ma anche perché si trova di fronte a nuovi paradigmi di valutazione, che “traguardano” obiettivi professionali meno scontati rispetto allo status socio-aziendale oppure alla sicurezza del posto di lavoro. Le motivazioni che supportano le loro scelte sono legate all’innovazione dei settori di applicazione, a progetti stimolanti che alimentino il bisogno di conoscenza e la sperimentazione verso ambiti inesplorati.
Queste professionalità riguardano in larga misura i giovani, che non sono insensibili al denaro perché sono consapevoli del proprio valore e quindi il loro trend retributivo è in rapida crescita in un tempo lavorativo molto breve. Dimensioni come affiliazione aziendale o identificazione con un brand non costituiscono necessariamente motivo di appeal. Le aree di interesse cambiano velocemente rispetto al concetto di obsolescenza, forse anche per la rapidità con la quale avvengono le innovazioni.
Il pensiero convergente lascia spazio a quello divergente e le aziende più competitive sono quelle che sanno catturare i migliori talenti con idee e progetti di diversificazione del business sempre stimolanti e innovativi, strutturando una policy di retention per salvaguardare gli investimenti fatti in termini di capitale umano.
Le nuove professioni impongono inoltre nuove forme di organizzazione del lavoro che esaltano la produzione individuale, ma nel contempo premiano la capacità di sapersi integrare in diversi team work strutturati con una logica a matrice. I scientist diventano naturalmente leader di progetto sulla competenza piuttosto che sulla seniority e il luogo di lavoro diventa sempre meno importante, con un coinvolgimento sempre maggiore di risorse coinvolte in progetti di smart working.
Quindi anche i parametri di valutazione delle performance subiranno costanti adattamenti rispetto ai criteri classici, così come sarà anche per i sistemi di ricompensa e di formazione. Molto efficaci potrebbero essere infine soluzioni di welfare nonché forme di benefit non monetari, come ad esempio la partecipazione a congressi/convegni prestigiosi a livello internazionale, soluzioni già ampiamente utilizzate da tempo nei centri di ricerca applicata di eccellenza.
* Laureata in Psicologia del Lavoro, ha conseguito un Master in Business Administration. Ha maturato un’esperienza pluriennale nelle Direzioni del Personale di Organizzazioni Aziendali complesse. Da alcuni anni è consulente per realtà Finance ed Insurance. E’ specializzata su temi di Conflittualità Organizzativa, Stress Lavoro Correlato, Mobbing e Straining.