Da un lato le aziende che restano insoddisfatte della norma che regola il cosiddetto ‘end of waste’ e che dovrebbe consentire il riutilizzo dei rifiuti dopo il blocco imposto dal decreto Sblocca Cantieri, dall’altro quelle preoccupate per la plastic tax. A cui, però, il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, certo che la misura non farà perdere consensi, tende una mano: “Vi incontrerò la prossima settimana, venite però con una posizione unitaria, già condivisa e chiedete ciò che è possibile. Fate massa critica. Sapete che preferisco gli incentivi alle imposizioni fiscali e voglio usare il concetto di tassa di scopo, che rimanga nel circolo produttivo e serva ad accompagnare le imprese verso una produzione eco-compatibile”. Nella seconda giornata della fiera di Rimini Ecomondo, aprendo il convegno ‘La strategia italiana della plastica’, il ministro ha affrontato nuovamente il tema della plastic tax, entrando nel dettaglio: “Lo possiamo fare? Sì, lo possiamo fare. Sono convinto che il gettito ulteriore arriverà poi dalla stessa produzione”. Dalla quale, nel frattempo, arrivano diversi spunti in fatto di innovazione e sostenibilità.
L’APERTURA SULLA MANOVRA – Insomma, la strada per aprire un dialogo con le aziende sembra essere proprio quella del credito d’imposta. “D’altro canto – ha spiegato Costa – rispetto alla prima bozza della legge di Bilancio, qualcosa è già stato modificato. Nella prima versione del testo si tassava tutto, mentre nell’ultima si penalizza il monouso”. Insomma c’è un importante spartiacque. Lo stesso credito d’imposta non era previsto. “Vogliamo pensare a un credito supplementare al 10 per cento? Vogliamo prendere il 25 per cento?”. Tutto però, orientato verso degli obiettivi: non perdere posti di lavoro, aiutare le nostre imprese e non lasciarsi scippare la leadership sul fronte delle plastiche compostabili. “Dobbiamo farlo insieme – ha aggiunto – perché credo siamo tutti d’accordo sul fatto che c’è un problema di plastica monouso a livello mondiale e che dobbiamo adeguarci alla normativa europea che prevede un percorso già delineato”. Sulla questione è intervenuto anche il presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli: “Ritengo che la plastic tax vada vista nell’ottica di promuovere il riciclo e accelerare i processi di cambiamento – ha commentato – facendo in modo che le risorse derivanti vengano reimpiegate per la tutela ambientale e operando le dovute distinzioni tra plastica vergine e plastica riciclata”. Per questo, secondo Vignaroli, “si potrebbe ragionare sull’esonero dalla tassa, oltre che per i manufatti monouso in plastica biodegradabile e compostabile, anche per quelli realizzati in tutto o in parte plastica riciclata che oggi fatica a trovare sbocchi sul mercato”.
IL PROBLEMA DELLA PLASTICA – Come ricordato dal capo della segreteria tecnica del ministro, Tullio Berlenghi “oggi la produzione di plastica è aumentata in modo esponenziale: 20 volte rispetto agli anni Sessanta” e dei 25 milioni di tonnellate prodotte all’anno in Europa, solo il 30 per cento viene riciclato. Il resto finisce in discarica o negli inceneritori. “Con costi ambientali ed economici enormi” ha sottolineato Berlenghi. “Non c’è un ricerca di responsabilità, da attribuire a produttori o consumatori, ma di possibili soluzioni” ha spiegato il ministro dell’Ambiente. C’è un’apertura, dunque, ma con dei paletti: “Abbiamo ancora lo spazio in Parlamento per migliorare questa norma, ma questo non vuol dire per cassarla”. Ma il problema della plastica è molto ampio: dalla questione dei rifiuti abbandonati ogni anno in mare (dai 5 ai 13 milioni di tonnellate) agli imballaggi. “Non possiamo far finta che tutto questo non esista – ha spiegato Berlenghi ai rappresentanti del mondo delle aziende presenti a Ecomondo -. Dobbiamo, anzi, gestire da soli i nostri rifiuti e ridurre la dipendenza che abbiamo dai combustibili fossili, che poi dovremo gradualmente abbandonare”. Il resto deve farlo l’innovazione: “Non possiamo rimanere attaccati a un sistema economico, perché oggi funziona”. Nel corso del convegno sono state raccontate le esperienze, ad esempio, del big dell’alimentazione e delle bevande Unilever che, tra gli obiettivi da raggiungere entro il 2025, ha la riduzione dell’uso complessivo di imballaggi in plastica monouso di circa 100mila tonnellate all’anno, ma anche quella che ha portato alla produzione della cannuccia di pasta biologica e senza glutine da parte della cooperativa marchigiana Campo, in sostituzione di quelle in plastica.
LA STRATEGIA – Riguardo agli imballaggi, il presidente della Commissione Ecomafie Stefano Vignaroli ha ricordato che, secondo la Ellen MacArthur Foundation, il 95% degli imballaggi plastici ha un ciclo vitale troppo breve, perdendo il proprio valore con un danno economico stimato tra i 70 e i 105 miliardi di euro. “Per non disperdere valore, nell’ambito dell’applicazione della Strategia europea sulla plastica è opportuno puntare su riduzione e riciclo”, ma la verità è che i rifiuti sono un business. “Ne produciamo troppi rifiuti – ha commentato Vignaroli – e nessuno ha interesse a ridurli, perché si guadagna a produrli e poi a gestirli. La prevenzione però è la chiave per un sistema economico più sostenibile”. A cui va aggiunto il riciclo: “È necessario cambiare la destinazione di rifiuti come le plastiche miste, che ancora oggi vanno a incenerimento nonostante sia possibile riciclarle e trasformarle in molti beni, dagli arredi urbani ai pannelli fonoassorbenti”. Vignaroli ha posto l’accento anche sulla necessità di creare un mercato di beni in materiali riciclati e, a questo scopo, l’applicazione dei Criteri ambientali minimi negli appalti pubblici darebbe un impulso importante. “La domanda della pubblica amministrazione muove ogni anno miliardi di euro – ha spiegato – se questa domanda tende a requisiti e obiettivi di sostenibilità si hanno effetti positivi per tutte le aziende impegnate nell’economia circolare. Come sappiamo purtroppo, pur essendo obbligatorio, il rispetto dei Criteri ambientali minimi è pressoché disatteso, perdendo una straordinaria opportunità per riciclo e innovazione”.
LA DIFFICILE GESTIONE DEI RIFIUTI – Secondo quanto emerso dal convegno ‘La filiera della gestione dei rifiuti organici: confronto tra esperienze internazionali’, organizzato da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche) e dal Comitato Tecnico Scientifico di Ecomondo, l’Italia è il terzo paese in Europa per quantità di rifiuti trattati ma è necessario strutturare in tutto il Paese filiere che garantiscano la corretta chiusura del ciclo, nonché sciogliere alcuni nodi, dalla carenza di impianti agli aspetti autorizzativi, che frenano il pieno sviluppo del settore. Una situazione a parte, poi, è quella che vivono in particolare tre regioni: Lazio, Campania e Sicilia che, secondo l’analisi illustrata da Fise Assoambiente, devono fare i conti con la carenza di un’adeguata impiantistica per il riciclo dei rifiuti, l’assenza di valorizzazione energetica per quanto non riciclabile, il turismo dei rifiuti verso altre Regioni e l’affidamento eccessivo allo smaltimento in discarica. Le conseguenze? “Costi di gestione alle stelle, inefficienze e inquinamento determinato dal continuo trasporto dei rifiuti. Tutto in barba alla circular economy e con l’emergenza alle porte”.