Un articolo della manovra consente alle Entrate di usare le informazioni contenute nell'Anagrafe dei rapporti finanziari per "individuare criteri di rischio utili a far emergere posizioni da sottoporre a controllo". L'appiglio sono le limitazioni alla privacy consentite dal Regolamento europeo in casi di rilevante interesse pubblico. Alessandro Santoro, che parlando con ilfattoquotidiano.it ha innescato il dibattito sugli ostacoli posti dall'authority, apprezza lo sforzo ma avverte: "L'opposizione o lo stesso Garante possono sollevare problemi facendo leva su dettagli giuridici"
“C’è un tentativo coraggioso nella direzione giusta, di questo va dato atto alla maggioranza e al governo. Ma non sono del tutto sicuro che riuscirà a centrare l’obiettivo. Prevedo reazioni che faranno leva su aspetti giuridici della norma”. Alessandro Santoro, docente di Scienze delle Finanze a Milano Bicocca ed ex membro del comitato di gestione dell’Agenzia delle Entrate, ha accolto con soddisfazione l’inserimento in legge di Bilancio di un articolo che punta a dribblare i paletti del garante della Privacy all’utilizzo delle banche dati a disposizione del fisco per individuare i contribuenti a maggior rischio evasione. Proprio Santoro, parlando con ilfattoquotidiano.it, aveva innescato il dibattito sugli ostacoli posti dall’authority a quella che in gergo tecnico si chiama “profilazione del rischio fiscale“. Ma ora l’esperto avverte che la soluzione individuata ha una potenziale falla che potrebbe vanificare lo sforzo fatto.
L‘articolo 86 della manovra, nella versione bollinata inviata al Senato lunedì, prevede che le Entrate possano “avvalersi delle tecnologie, delle elaborazioni e delle interconnessioni con le altre banche dati di cui dispone, allo scopo di individuare criteri di rischio utili per far emergere posizioni da sottoporre a controllo e incentivare l’adempimento spontaneo”. Il tutto previa “pseudonimizzazione dei dati”, una tecnica che consiste nel conservarli in modo da impedire l”identificazione del contribuente. Solo le posizioni “a rischio” verrebbero riportate fuori dall’anonimato per far partire le verifiche.
E la privacy? Un escamotage per circoscrivere le garanzie previste dal Regolamento europeo sulla protezione dei dati (Gdpr) è previsto nel regolamento stesso, che all’articolo 23 consente limitazioni, “mediante misure legislative”, se necessario per salvaguardare interessi pubblici come la sicurezza nazionale, la difesa, l’accertamento e il perseguimento di reati ma anche “un rilevante interesse economico o finanziario dell’Unione o di uno Stato membro, anche in materia monetaria, di bilancio e tributaria, di sanità pubblica e sicurezza sociale”. E’ proprio a quell’articolo che fa riferimento la legge di Bilancio. In più viene modificato il Codice privacy con cui l’Italia ha recepito la normativa europea, aggiungendo il “pregiudizio effettivo e concreto alle attività di prevenzione e contrasto all’evasione fiscale” ai casi in cui una serie di diritti al trattamento dei dati riconosciuti dal Regolamento “non possono essere esercitati”
“Però l’articolo 23”, spiega Santoro, “dice anche che quando uno Stato impone limitazioni deve dare, sempre con un provvedimento di natura legislativa, “disposizioni specifiche” riguardo per esempio a periodo di conservazione dei dati e rischi per i diritti e le libertà degli interessati”. Queste specificazioni in manovra non ci sono. Di qui il timore di Santoro che “l’opposizione o lo stesso Garante della privacy possano sollevare problemi”, compromettendo la possibilità di raggiungere i risultati sperati. Che sono dettagliati nella relazione tecnica della Ragioneria generale dello Stato, secondo cui l’incremento di efficacia delle attività di prevenzione e contrasto all’evasione porterà nelle casse pubbliche – stima prudenziale – almeno 460 milioni l’anno in più a regime mentre nei primi due anni i proventi aggiuntivi si fermeranno a 125 milioni (2020) e 251 milioni (2021). Per ora Antonello Soro non ha commentato la norma, anche se è andato all’attacco di un articolo del decreto fiscale che a suo dire metterebbe nelle mani dell’Agenzia delle entrate informazioni sensibili sullo “stato di salute o l’eventuale sottoposizione a procedimenti penali”, tramite le “fatture relative a prestazioni in ambito sanitario o forense”.
Sullo sfondo restano poi altri problemi irrisolti. A partire dalla carenza di personale specializzato, perché l’Agenzia delle Entrate dopo la sentenza della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità di centinaia di posizioni dirigenziali e in attesa dell’esito dei concorsi per funzionari e dirigenti di seconda fascia è a corto di risorse umane con le competenze necessarie. Non basta: la poltrona di Antonino Maggiore, il generale della Finanza scelto lo scorso anno dal governo gialloverde per guidare le Entrate, è a rischio. Il Conte 2 si prepara a un rinnovo e per la sostituzione sono dati in pole l’ex ad di Equitalia e attuale numero uno delle Dogane Benedetto Mineo e il predecessore di Maggiore Ernesto Maria Ruffini, avvocato tributarista ritenuto vicino a Matteo Renzi. Il cambio al vertice inevitabilmente allungherebbe i tempi per l’avvio delle nuove analisi di rischio. Intanto, il comitato di gestione che ha il compito di assistere il direttore generale non si riunisce dalla fine di aprile.