Il gruppo franco-indiano ha attivato l'articolo 47 della legge 428/90 e ha fatto richiesta di avvio della cessione del ramo d’azienda che coinvolgerà 12 siti per un totale di 10.777 dipendenti. Conte: "Faremo tutto il possibile per fare in modo che la controparte rispetti gli impegni"
ArcelorMittal Italia ha cominciato ufficialmente la sua partita a poker. Il gigante franco-indiano dell’acciaio ha mosso il primo passo per lasciare al suo destino l’ex Ilva e i quasi 11mila lavoratori sparsi in tutta Italia. La motivazione, hanno riferito i vertici nella lettera con cui il 4 novembre hanno preannunciato il passo indietro, è il ritiro dello scudo legale promesso dal governo e poi tolta dal decreto Crisi d’impresa. Ma la “mano” in corso è più complicata di quanto non sembri: nell’atto di citazione depositato lunedì sera al Tribunale di Milano con cui intende avviare il passo indietro l’azienda mette nero su bianco che “anche se la protezione legale fosse ripristinata, non sarebbe possibile eseguire il contratto”.
Questa mattina l’azienda ha avviato formalmente la procedura per restituire ai commissari gli stabilimenti dell’acciaieria di Taranto e presentato al ministero dello Sviluppo, e per conoscenza ai commissari, la richiesta di avvio della cessione del ramo d’azienda che coinvolgerà 12 siti per un totale di 10.777 dipendenti. La retrocessione dei rami d’azienda e il conseguente trasferimento dei lavoratori avverrà entro 30 giorni dalla data del recesso.E’ quanto si legge nella comunicazione presentata dal gruppo franco-indiano, in base a quanto prevede l’articolo 47 della legge 428/90.
La prima mossa che traduce in pratica la decisione annunciata il 4 novembre con la lettera ai commissari straordinari arriva nelle stesse ore in cui i vertici dell’azienda si sono recati a Palazzo Chigi per un vertice con Giuseppe Conte durato oltre tre ore. “Sono fiducioso: la linea del governo è che gli accordi contrattuali vanno rispettati e in questo caso riteniamo non ci siano giustificazioni per sottrarsi. Ci confronteremo, il governo è disponibile a fare tutto il possibile per fare in modo che da parte della controparte ci sia il rispetto degli impegni”, ha detto il presidente del Consiglio prima del vertice a cui per il governo hanno preso parte i ministri Stefano Patuanelli, Roberto Gualtieri, Giuseppe Provenzano, Roberto Speranza e Teresa Bellanova e il sottosegretario Mario Turco. Per l’azienda erano presenti i il patron di Arcelor Mittal Lakshmi Mittal e Aditya Mittal. Palazzo Chigi ha annunciato una conferenza stampa al termine del Consiglio dei ministri convocato per le 17.
Al momento ArcelorMittal non pare intenzionata a rispettare gli impegni. Nell’atto di citazione depositato lunedì sera al Tribunale di Milano con cui intende recedere dal contratto d’affitto dell’acciaieria (l’acquisto scatterà solo nel maggio del 2021), l’azienda chiede il ripristino dello scudo legale, fin da subito addotto come pretesto per lasciare Taranto. Ma non solo: “Anche se la protezione legale fosse ripristinata, non sarebbe possibile eseguire il contratto”, scrivono gli avvocati. Tradotto: anche se il governo decidesse di garantire l’immunità tolta pochi giorni fa dal decreto Crisi d’impresa, magari con un emendamento alla manovra (il cui iter parlamentare parte dal Senato, dove Italia Viva garantirebbe il proprio apporto) con un dl ad hoc, il gruppo franco-indiano lascerebbe ugualmente l’Italia.
La protezione legale, osserva l’azienda nel documento di retrocessione ad Ilva delle aziende, costituiva “un presupposto essenziale su cui AmInvestCo e le società designate hanno fatto esplicito affidamento e in mancanza del quale non avrebbero neppure accettato di partecipare all’operazione né, tantomeno, di instaurare il rapporto disciplinato dal Contratto”. Per il governo l’immunità chiesta da Arcelor è un pretesto. Oggi lo ha detto a chiare lettere il ministro dell’Ambiente Sergio Costa: lo scudo penale “con le bonifiche ambientali non c’entra proprio niente, tant’è vero che da quando è stato firmato il piano di risanamento ambientale, a settembre 2018, ad oggi non c’è stata nemmeno una indagine con rilievo penale per la tutela dell’ambiente. Quindi il motivo non è certamente il piano ambientale”, ha detto il ministro. “Perché altrimenti – continua Costa – se ci fosse stata un’indagine con un rilievo penale bisognava che fosse stata notificata. Non risulta agli atti, allora qual è il vero motivo? Non è certo quello del piano ambientale, peraltro liberamente firmato da Arcelor Mittal. La motivazione sarà altra: non è quella ambientale e in ogni caso qua parliamo di giustizia”.
La Fim Cisl ha deciso di proclamare subito lo sciopero. “E’ arrivato l’articolo 47 con cui si riportano 10.700 lavoratori in amministrazione straordinaria. La Fim Cisl proclama lo sciopero da sola“, ha annunciato il segretario generale Marco Bentivogli. Che nel pomeriggio ha rilanciato: “Nonostante le precettazioni dei lavoratori da parte della direzione aziendale Sciopero, FimCisl svuota la fabbrica: ferma completamente acciaieria 2 e attiva solo 1 colata su 5. Lo sciopero durerà fino alle 15 di domani”.
Sul piede di guerra, ma per ora con il freno a mano, anche Fiom-Cgil. “In attesa di conoscere l’esito del delicato incontro tra Governo e proprietà, permane lo stato di agitazione in tutto il gruppo ArcelorMittal”, dichiara in una nota la segretaria generale Francesca Re David. Cauta al momento la Uilm. “Metteremo in campo ogni iniziativa conseguente dopo aver conosciuto i contenuti dell’importantissimo vertice che si sta svolgendo a Palazzo Chigi”, ha detto il leader Rocco Palombella., che fa un appello agli altri sindacati: “No a decisioni sindacali solitarie che contribuiscono ulteriormente ad inasprire il clima di tensione, sfiducia e preoccupazione presente tra i lavoratori”.
A Genova in mattinata si è tenuto l’incontro convocato in Regione dal governatore Giovanni Toti con Fiom, Fim e Uilm e una folta delegazione di lavoratori. Al termine il segretario cittadino della Fiom Cgil Bruno Manganaro ha avvertito il governo: “Al ministro Patuanelli, che ieri ha fatto intendere che la risolviamo con tanta cassa integrazione, lo dico oggi: se lo può scordare. Noi abbiamo l’accordo di programma che dice che ci vuole continuità di reddito, che se c’è cassa integrazione ci vogliono i lavori di pubblica utilità e l’integrazione salariale. Hanno rotto i piatti e ora li devono riparare. E se qualcuno pensa di scaricare questo sui lavoratori noi non ci stiamo”.
Confindustria punta il dito contro la politica: “Spero ci sia spazio per una soluzione e che la politica abbia il senso del limite, che a volte si supera e poi gli effetti purtroppo arrivano”, ha dichiarato il presidente Vincenzo Boccia. “E’ una responsabilità della politica, adesso la politica risolva le questioni che ha determinato”. Circa la possibilità di mettere insieme una cordata Boccia professa scetticismo: “Non so quando la si possa trovare e chi paga tutti questi lavoratori: ricordo che non c’è solo Taranto, ma tanti stabilimenti in Italia”. “Il problema è chi paga – ha concluso il leader degli industriali – c’è qualcuno in questo paese che prescinde dalle risorse, a meno che non voglia battere moneta e pagare direttamente da solo”.
Anche i Verdi promettono battaglia: “In nessun Paese d’Europa, chi inquina viene protetto dall’immunità penale, perché chi inquina attenta alla salute come è accaduto e continua accadere a Taranto – ha detto il coordinatore dell’esecutivo nazionale Angelo Bonelli – Falso chi sostiene che l’immunità serve a proteggere da responsabilità passate non commesse da Arcelor Mittal perché secondo il nostro ordinamento la responsabilità penale è individuale e non ricade su altri. Se il governo dovesse emanare un provvedimento che addirittura estende l’immunità a tutte le industrie del nostro Paese, noi Verdi saremo costretti a raccogliere le firme per un referendum abrogativo“.