Immunità penale, altoforno 2, tonnellate di acciaio, articolo 47, prescrizioni. Nel pieno dell’ultima crisi dell’Ilva di Taranto, mentre il governo cerca una soluzione per far andare avanti l’affitto degli impianti con ArcelorMittal, ecco cinque domande e risposte per capire di cosa discute la politica e in quale situazione si trovano gli operai della più grande acciaieria d’Europa.
1) Quanti sono in questo momento gli occupati?
ArcelorMittal ha assunto nei 12 siti italiani un totale di 10.777 dipendenti. Nel dettaglio: 8.277 a Taranto, Genova 1016, Novi Ligure 681, Milano 123, Racconigi 134, Paderno Dugnano 39, Legnano 29, Marghera 52. A questi 10.351 lavoratori si aggiungono quelli di Anis con 64 lavoratori, Am Energy 100, Am Tubolar 40, Am Maritime 222. Al momento 1.260 sono in cassa integrazione ordinaria, voluta dall’azienda a luglio per 13 settimane e poi prorogata per altri 3 mesi. Nell’accordo firmato con i sindacati il 6 settembre 2018, l’azienda si era anche impegnata a garantire la contrattualizzazione entro il settembre 2025 degli esuberi rimasti nel 2023 cioè al termine del Piano ambientale, senza ritoccare al ribasso il costo del lavoro tagliando le ore in fabbrica di ciascun dipendente. Mercoledì mattina, ArcelorMittal ha aperto la procedura ex articolo 47 per la cessione del ramo di azienda: ha sostanzialmente detto ai commissari straordinari di Ilva di riprendersi gli stabilimenti, le società del gruppo e i 10.777 dipendenti che aveva assunto a tempo determinato il 1° novembre 2018.
2) Quanto acciaio produce l’Ilva? ArcelorMittal ci guadagna?
A inizio anno il colosso franco-indiano puntava a una produzione di 6 milioni di tonnellate negli impianti dell’ex Ilva. Le stime, nel corso dell’anno, sono state riviste al ribasso a causa della crisi del mercato dell’acciaio, in particolare dei prodotti piani, core business di Taranto. A dicembre 2019, stando a quanto prodotto finora, l’acciaio sfornato in Puglia dovrebbe sfiorare le 4,5 milioni di tonnellate. Lo scorso anno la produzione sotto la gestione commissariale (fino al 31 ottobre) si era fermata a poco più di 4 milioni di tonnellate. Con questi livelli produttivi, l’azienda dice perdere 2 milioni di euro al giorno. “In questo momento non ci paghiamo gli stipendi”, è stato uno dei primi messaggi della nuova ad Lucia Morselli ai delegati sindacali incontrati dopo la sua nomina.
3) Come è cambiata l’immunità penale?
Introdotta nel 2015 dal governo Renzi, l’immunità penale sostanzialmente proibiva di rinviare a giudizio coloro che erano ritenuti dalla magistratura inquirente responsabili per “condotte poste in essere in attuazione del Piano ambientale” fino al 2023, anche per ammodernamenti che, secondo lo stesso Piano, sono da concludere prima. E che comprendeva anche la sicurezza sul lavoro. In primavera, nel decreto Crescita, è stata totalmente abolita per gli acquirenti (ArcelorMittal) dal 6 settembre e sostanzialmente mantenuta per i commissari straordinari. Di fronte al rischio di addio dell’azienda, è stata varata una nuova norma nel decreto Salva Imprese, approvato dal governo Lega-M5s pochi giorni prima della crisi di governo: immunità per eseguire i lavori nei limiti temporali definiti dal cronoprogramma. Se si sforano, decade l’immunità, così come se si compiono operazioni fuori dal perimetro fissato dal Piano ambientale. In fase di conversione, però, il mini-scudo è stato soppresso da un emendamento firmato da 17 senatori M5s e approvato in commissione con i voti anche di Pd e Italia Viva. Al momento, quindi, ArcelorMittal non ha alcuna immunità.
4) Cosa contesta l’azienda al governo?
Innanzitutto l’eliminazione dello scudo penale, senza il quale ritiene “impossibile” rispettare le scadenze e “proseguire l’attività produttiva e gestire lo stabilimento di Taranto come previsto dal contratto, nel rispetto dell’applicabile normativa amministrativa e penale”, come scrive l’ad Morselli nella lettera inviata ai commissari. Nel contratto siglato tra le due parti, tuttavia, non vi è nessun passaggio esplicito sullo scudo: si entra quindi in un campo interpretativo. Ma non è l’unica causa dell’addio. Nelle 37 pagine firmate dai suoi legali e consegnate al Tribunale di Milano per vagliare la possibilità di recesso dall’affitto, si legge: “Anche se la protezione legale fosse ripristinata, non sarebbe possibile eseguire il contratto”. Il problema secondo l’azienda è l’altoforno 2, che rischia di essere spento il 13 dicembre: in quell’impianto, nel 2015, morì l’operaio Alessandro Morricella, travolto da un getto di ghisa. In terza battuta, ricorda le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime per il sequestro di un molo del porto di Taranto, causato dalla morte di un operaio per una gru che si è spezzata, l’iter per la modifica dell’Aia, le “difficoltà” di accedere ai “livelli necessari” di ammortizzatori sociali che sono “indispensabili” per “mitigare i costi del lavoro” in fase di ammodernamento dell’impianto. Oltre a un clima di “ostilità” di istituzioni ed enti locali.
5) Qual è il problema dell’altoforno 2?
Le prescrizioni per mettere in sicurezza l’impianto non sono state tutte portate a termine in questi anni. Arcelor, quindi, se la prende con i commissari. Non solo per i mancati lavori, ma ipotizzando anche il “dolo”. Sarebbero infatti stati nascosti i problemi fornendo, nel luglio e nel dicembre 2017, due documenti che attestavano il “compiuto adempimento” delle prescrizioni e parlavano di un piano di attuazione “implementato nella sua totalità”. ArcelorMittal imputa ai commissari anche di “non aver tempestivamente fornito” una relazione del custode giudiziale del 22 ottobre 2018, quindi prima del closing dell’operazione: un documento “decisivo” che “avrebbe evidenziato lo stato di inottemperanza” delle prescrizioni. Quindi aggiunge di esserne venuta a conoscenza solo il 9 luglio 2019, quando è stato ordinato lo spegnimento. Che, se i lavori non saranno finiti ed è sostanzialmente certo che sia così, potrebbe avvenire il 13 dicembre. “In tal caso – scrivono i legali – dovrebbero essere spenti anche gli altiforni 1 e 4 in quanto, per motivi precauzionali, sarebbero loro egualmente applicabili le prescrizioni” del tribunale. Taranto, insomma, secondo l’azienda, rischia il blocco dell’area a caldo. “Come avete ripetutamente rilevato e come confermato dal vostro consulente Rina nel ‘Piano d’intervento per l’impianto Afo2’ in data 10 agosto 2019, l’impossibilità di operare Afo2 – scriveva Morselli ai commissari – inciderebbe in ‘maniera decisiva sugli assetti complessivi del ciclo produttivo dello stabilimento di Taranto, compromettendone la stessa sopravvivenza’”.